martedì 12 aprile 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (282)

Giuseppe Leuzzi

“Qui poi”, scriveva Calvino di ritorno dall’America nel 1961, “gli scrittori sono decine di migliaia, come i poeti nell’Italia meridionale”.Ce ne eravamo dimenticati.

Luigi Settembrini si pentì presto, il patriota casertano. Nelle “Ricordanze della mia vita”, che saranno pubblicate postume nel 1870, dice di aver detto ai suoi allievi: “Figli miei, bestemmiate la memoria di Ferdinando II, perché è sua la colpa di questo”. Perché, “se egli avesse impiccato noialtri, oggi non si sarebbe a questo: fu clemente e noi facemmo peggio”. Il tradimento delle buone intenzioni. Fino all’odio-di-sé: si fa presto a passare dal nemico esterno al nemico interno, se quello è forte. 

La paura non può dormire
“La paura non può dormire”, dice Herta Müller, la scrittrice rumeno-tedesca premio Nobel, ricordando gli anni bui nella Romania di Ceausescu, preda della polizia segreta – vai al lavoro e non sai se sei stata licenziata, cammini e non sai se ti seguono, torni a casa e ti aspetti di trovarla in disordine, rimestata. È lo stesso “sotto” le mafie. Il nemico c’è, tutti lo sanno, ma non si può liberarsene. È quello che si dice vivere nella paura.
Ci si può ribellare. Herta Müller lo ha fatto ed è stata premiata. Ma era protetta dalla Germania. Altra cosa che i Carabinieri – i quali il delitto lo puniscono “dopo”, quando lo puniscono..
“Le minacce di morte provocano un’angoscia mortale”, ricorda la stessa scrittrice della sua vita sotto Ceausescu, perseguitata dalla polizia politica. È così, chi vive in zone di mafia lo sa.
Minacce di morte sono per estensione anche quelle ai beni, la casa che è la nostra corazza e la copertina di Linus, l’azienda, la stessa automobile. Mentre per i Carabinieri sono solo una pratica per l’assicurazione. Solo, appunto, le minacce alla vita prendendo sul serio, e solo dopo la morte.  

La scoperta del Sud
Il Sud è stato a lungo – Sette-Ottocento – il luogo del pittoresco: luoghi remoti, non urbanizzati, poco abitati, pieni di miti e magie. Con l’unità è diventato l’“Affrica”, e il luogo per eccellenza dell’antropologia italiana, quasi tuta di superficie, giornalistica – a sensazione. Che si è subito impegnata a sistematizzare l’africanesimo. Creando un handicap da cui il Sud non si più ripreso, anche se spesso è molto più “avanti” del Nord, americanizzato, europeizzato, avanguardista, linguista, cosmopolita, e per esempio non è razzista.
L’antropologia lo ha fatto per un pregiudizio? Non si può dire, perché ad essa hanno contribuito anche antropologi (etnologi, folkloristi) meridionali. Lo ha fatto perché l’antrologo scopre l’Italia come l’italiano del Nord che ha sposato qualcuno del Sud scopre il Sud e la campagna. Essendo normalmente persona di città che scopre la campagna, la vita di paese, la natura che per sé non è bella, troppo caldo, troppo freddo, troppe mosche, al Sud, non avendo mai visto né odorato prima  la campagna, la sua campagna – lo stesso il “professore” meridionale, che si vuole urbanizzato. Olmi è un’eccezione, ed è recente, come Nuto Revelli. Per un paio di secoli il mondo contadino delle vaste plaghe padane e delle Prealpi veneto-lombardo.piemontesi, come degli Appennini, tosco-emiliano, ligure-piemontese, con le code in Lunigiana e Garfagnana, da dove partivano per le Americhe in massa, è rimasto ìgnoto: zero poesie, zero letteratura, zero storia, e naturalmente nessun folklore elevato a scienza, della dipendenza.   

Napoli
Le primarie si tennero a Napoli anche per i plebisciti unitari del 1860. Borghesi assoldati e camorristi attendevano i votanti alla soglia del seggio, con coccarda tricolore.
Il suffragio non era allora universale, ma chiunque poteva votare se a favore. Votarono anche inglesi e ungheresi.

Fu un Borrelli l’educatore dell’orfano “Franceschiello”, Francesco II, il giovane ultimo re di Napoli, cresciuto inetto e incolto. Da Napoli, poi, a Milano?

Non solo non ha fatto nulla per risanare Bagnoli, lui come i suoi predecessori, l’incredibile Iervolino, lo stesso Bassolino, lungo la linea Pci-Pds-Ds-Ulivo-Pd, ma aizza i napoletani contro il risanamento stesso. Con questa campagna, anzi, pensa di risollevarsi nei suffragi e rivincere le elezioni a giugno. Non aveva fatto abbastanza danni da giudice, De Magistris, li moltiplica da sindaco. Ma bisogna dire che Napoli lo ama, anche se non lo voterà.

Un giudice come Ciccio Franco e i boia chi molla si doveva ancora vedere. Ma a Napoli tutto è possibile, non è la capitale dei miracoli?

Si chiamano centri sociali, anche se in testa avevano gli assessori d De Magistris. I centri sociali contro il risanamento di Bagnoli? Perché lo vorrebbero sempre puzzolente e pieno di sorci.

Bagnoli sono la metà di Campi Flegrei. Che sono un paradiso in terra, ma dominato dai lestofanti. . Incluso nelle strutture turistiche pubbliche, castello, grotte, giardini, camerelle, etc. Provare per credere.
Senza opposizione: non gliene frega nulla a nessuno. Anche se tutti quei gaglioffi sono dipendenti pubblici.

Non c’è solo De Magistris. Si cerchi la provenienza dei giudici dei processi disinvolti, a Milano, a Potenza, a Catanzaro, in Cassazione, la stessa Calciopoli, sono tutti napoletani. Immarcescibili. Anche in questo intelligentissimi, insomma svelti d’ingegno: si sono collocati nella casta degli intoccabili.

Tempa Rossa è un vecchio processo di Woodcock. Un altro napoletano che fece sfracelli a Potenza pur di rientrare a Napoli. Con molto fumo naturalmente: arresti eccellenti, intercettazioni a gogò, capi d’accusa pirotecnici. Non potrebbero mandarli direttamente a Napoli? Li dobbiamo pure mantenere.

Antimafia
Molto scandalo per un mafioso in tv, dove viene presentato come mafioso, e si vuole mafioso, Riina jr.. Senza pentimenti. Mentre Cianciminio jr., altro mafioso in esercizio, è stato pavoneggiato come un  eroe, perché contribuiva con le sua carte false allo Stato-mafia. Per non dire dei monumenti eretti a mafiosi di lungo corso, ben più cattivi di Riina jr., da Enzo Biagi. Si critica l’apparizione di Riina jr. perché era da Vespa. L’antimafia è degli amici degli amici, anch’essa.

“Finora avevamo i briganti. Ora abbiamo il brigantaggio e tra l’una e l’altra parola corre grande divario. Vi hanno briganti quando il popolo non li aiuta, quando si ruba per vivere e morire con la pancia piena; e vi ha il brigantaggio quando la causa del brigante è la causa del popolo, allorquando questo li aiuta, gli assicura gli assalti, la ritirata, il furto e ne divide i guadagni. Ora noi siamo nella condizione del brigantaggio”. Vincenzo Padula, “Cronaca del brigantaggio in Calabria” (1864-1865). Roba di centocinquant’anni fa? Bisogna staccare la gente da briganti. E l’antimafia istituzionale non funziona, troppo furba.

I pentiti li ha inventati Liborio Romano, oppositore dei Borboni nel ’48, esiliato in Francia per quasi dieci anni, e poi nel ferale 1860 loro prefetto di polizia. Mentre in proprio si accordava segretamente con Cavour, per favorirlo prima dell’arrivo di Garibaldi a Napoli, Romano si accordò col capo camorrista Tore di Crescenzo, promettendo la libertà e una somma di denaro in cambio del mantenimento dell’ordine in città. Un accordo che funzionò.
Il pluripentito Romano, che da liberale fu ministro di polizia dell’ultimo Borbone, sarà prefetto a Napoli dell’Italia unita.

Si tiene in isolamento Provenzano, benché in fin di vita. Il giudice di sorveglianza se ne lava le mani, e il ministero pure. È l’effetto dello Stato-mafia, tutti hanno paura di qualcosa, anche se non sanno di che. Ma non è simpatico. Senza contare che questo Provenzano a suo tempo non si prendeva perché era in qualche modo un informatore.

leuzzi@antiit.eu

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