La
Russia non ha lasciato nessuno indifferente: o pro o contro. Quella degli zar
come quella di Stalin. E anche quella di Breznev, e poi di Gorbacev – Elstin e
Putin non ispirano più. Derrida fa eccezione: questo suo breve “Ritorno da Mosca”
(una sessantina di pagine, meno della metà del libro, che è in realtà un “Omaggio
a Derrida” da parte di Vincenzo Vitiello, con contributi dello stesso curatore,
e di Ferraris, Resta, Rovatti, Sini, Vattimo) si segnala per una, a questo punto caratteristica, elusività
politica.
Derrida non sa che dirne, anche se è a Mosca al momento topico della caduta
del sovietismo. Cioè, saprebbe bene che dirne , come tutti, ma lo evita. Si
riserva il giudizio – come già per alcune evidenti manifestazioni naziste di
Heidegger, nelle opere e nelle parole,
da lui peraltro evidenziate. Il filosofo come Mussolini – qui non si fa
politica, si lavora? Ma, certo, se uno non ha coraggio non gli se ne può fare
una colpa.
Questo “Ritorno” è in realtà l’anamnesi (decostruzione) del “viaggio a
Mosca” come genere, quasi, letterario. Ottima
idea, che però era già stata messa a frutto, e con più perspicacia, da Paul
Hollander, “Pellegrini politici”. Derrida peraltro si limita a due viaggi
celebri, quello di Gide, critico dello stalinismo, e quello di Benjamin –
evitando per di più la nota romanzesca dell’“angelo della storia”, che non vide
lo stalinismo perché era innamorato, perso, di una stalinista. I filosofi meglio
a casa?
Jacques
Derrida, Ritorno da Mosca
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