venerdì 8 aprile 2016

I duellanti delle banche centrali

In sedi separate ma all’unisono, i membri del comitato esecutivo della Bce hanno garantito ieri che il quantitative easing funziona: serve al credito e alla ripresa delle economie europee. È mancata all’unanimità Sabine Lautenschláger, che rappresenta la Bundesbank, col fedelissimo lussemburghese Yves Mersch.
Da Basilea qualche giorno prima la rivista trimestrale della Banca dei Regolamenti Internazionali aveva statuito nell’editoriale che “le misure (anticrisi) delle banche centrali sembrano in via di esaurimento”. La Bri, la “banca delle banche”, è da qualche mese a capo della fronda alla Banca centrale europea. Da quando ne è presidente Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank – la carica è a rotazione. Non vanno bene i tassi negativi sui depositi delle banche, naturalmente, dice il suo editoriale. Non funziona granché il riacquisto dei titoli del debito pubblico europeo. E i mercati lo sanno: “All’origine di parte delle turbolenze degli ultimi mesi vi è stata una crescente percezione nei mercati finanziari secondo cui le banche centrali potrebbero avere esaurito o quasi le opzioni di indirizzo efficaci”.
L’editoriale parla di “banche centrali”in genere, ma nel mirino non c’è la Federa Reserve o la Banca del Giappone, giusto la Bce. E precisamente le sue ultime decisioni di politica monetaria: il rafforzamento del quantitative easing, e i tassi negativi sui depositi delle banche.
Weidmann rimprovera a Draghi di aver favorito il lassismo nelle riforme strutturali del debito di cui molti paesi dell’euro necessitano. Draghi  è invece convinto che imporre risanamenti drastici del debito in fase di recessione e deflazione sia letale, e opera per “la ripresa prima”, pur sollecitando le riforme. Opera anche da governatore di una banca centrale, che può solo prendere decisioni di natura monteria e non può sovrapporsi ai governi e ai parlamenti, imporre riforme, etc.
È questa polemica, senza precedenti nella storia delle istituzioni monetarie, alla base dell’inquietudine dei mercati finanziari. Tanto più che dura da troppi anni, e non accenna a sussidere. Una polemica non accademica, anzi causa di molti danni. Con un indubbio elemento personale, molto malevolo, da parte di Weidmann.
La sua Bri infatti denuncia anche la crescita sempre inferiore alle tasse. E lo stesso dice dell’inflazione, sempre in ritardo sulle attese.  Quest’ultima è una considerazione di pura perfidia da parte di uno che ha sempre combattuto le politiche di Draghi contro la deflazione, negandola.
Una specie di muoia Sansone con tutti i filistei? La Bri può poco sul piano operativo, ma la volontà di nuocere può fare male.

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