martedì 19 aprile 2016

I limiti dell’Opec

L’Opec non può più governare i prezzi del petrolio. Non all’aumento, può solo attutirne la caduta. È l’esito della riunione straordinaria a Doha nel Qatar, che ha sancito l’impotenza dell’organizzazione dei tredici paesi esportatori di petrolio dell’ex Terzo mondo. E non, come si è detto, per l’ostilità tra Iran e Arabia Saudita, che viene dai tempi remoti dello scià, quindi da mezzo secolo. Ma perché i tredici non sono più i monopolisti del mercato: possono consolidare le quotazioni del greggio solo in accordo con i paesi extra Opec.
L’accordo con i paesi extra Opec è però impossibile. È un’idea di Daniel Yergin, il maggior economista del settore, ma irrealizzabile, per il semplice fatto che il maggior produttore di petrolio e gas fuori dell’Opec – uno dei maggiori, con la Russia - sono gli Usa, e gli Usa non possono far parte di un accordo di cartello. Russia e Usa eguagliano ognuno la produzione dell’Arabia Saudita – la raddoppiano se si tiene conto del gas, una fonte di energia per molte applicazioni sostitutiva del greggio. E altri produttori sono cresciuti: Canada, Cina, Kazakistan, Norvegia, Colombia, Azerbaigian - Egitto, Turkmenistan, Mozambico e altri per il gas.
Un altro motivo dell’impotenza è nell’Arabia Saudita. Il reame è teoricamente sempre in grado di terremotare il mercato, con le sue enormi riserve di idrocarburi a buon mercato. Come nel 1973, quando impose l’embargo all’esportazione di petrolio per due mesi, triplicando di colpo i prezzi. Ma allora poté farlo perché lo scià era d’accordo, anzi su sua iniziativa. E oggi non è più il paese polveroso, senza luce elettrica e senza strade, che era quarant’anni fa: è una potenza regionale, con una spesa militare enorme, e con impegni sociali e per infrastrutture che non può sgonfiare.

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