Settecento illeggibili pagine, contro il vizio del complottismo. Nella sua vena
più eletta, il decostruzionismo,
filosofico, letterario – “Ora avevamo l’intera modernità percorsa da talpe
laboriose che traforavano il sottosuolo spiando il pianeta dal di sotto”. Un
campionario delle castronerie. Contro l’esoterismo – dopo l’appeal creato da Borges. Contro la
credulità e l’incredulità, e per la superficialità – se ne legge con più gusto in Savinio. Contro
il numero sette – e l’otto e il nove (ma non contro il tre? e il quattro?)
Tutto
lo sciocchezzaio nazista e paranazista, Otto Rahn, von Eschembach, l’Ultima
Thule. Ma anche Lilith, “la grande madre ermafrodita”. Le “vergini nere de
Celti” – “le prime vergini che appaiono in Europa sono le vergini nere dei celti”.
Il governo dei tecnici, che molto patrocinavano all’epoca lo stesso “Espresso”
e “la Repubblica” di Eco? Sinarchie, come quelle che si delibavano nel tardo
Medio Evo, per esempio da “tali Vivian Postel du Mas e Jeanne Canudo”, che fondano
a questo fine “il gruppo Polaris”.
Eco
era veramente arrabbiato. Finisce perfino per assimilare la polemica
antigesuita, della “controffensiva baconiana… liberale, laicista”, all’antisemitismo,
“da Michelet e Quinet sino a Garibaldi e Gioberti”. E a Eugène Sue, “L’ebreo
errante”, “un testo che sembrava ricalcato, ma con anticipo di mezzo secolo, sui
Protocolli (dei Savi di Sion)”, la summa e il cardine del complotto antiebraico.
.
Stroncato
all’uscita, anche con violenza, un po’ ovunque fuori d’Italia, in Francia, Gran
Bretagna, Usa. In Italia no, due anni prima, 1988, era stato un delirio – ma Pietro
Citati su “Repubblica”, il giornale di Scalfari e dello stesso Eco, riuscì a scrivere di “superficialità
totale” , e a chiedersi “se valeva la pena di scrivere questo libro” (Scalfari poi recuperò
con Asor Rosa canterino). Fu stroncato anche da amici personali. Salman Rushdie scrisse
sul “Times” di un “obeso nuovo volume di Umberto Eco”, che “non un romanzo, è
un computer game”, e anzi scandaloso: “Se, come Anthony Burgess minaccia in
copertina, questa è la strada per cui il romanzo europeo sta andando, dovremo
tutti prendere un bus nela direzione opposta al più presto”. Diminutivo lo stesso
Burgess, sul “New York Times”: “Una notevole raccolta d’informazioni”, avrebbe
beneficiato di “un indice delle materie trattate e delle citazioni”. La “New York Review of Books”
disgnosticò un caso di logorrea – “lo scherzo migliore non si ripete per 665
pagine”, quante erano quelle dell’edizione americana.
Il
romanzo del computer colpì molti. Pascal Guignard: “L’eruditissimo romanziere
italiano ha sovraccaricato la memoria del suo computer. E se avesse fatto un
errore di programmazione?” In effetti, il volumone è illeggibile. Non trascina: non va in discesa,
va in salita. O se letto in pillole, poche pagine al giorno, per
distendere i nervi, non memorizzabile. Anticipa però molti successi altrettanto
formidabili. Uno, “Il codice da Vinci”, è l’esatta copia, ristretta e
velocizzata, del “Pendolo” di Eco, dal Louvre iniziale (qui il Conservatorio
delle Arti e Mestieri ) a Saint-Sulpice, il Graal, la Scozia, etc., e i
paladini di penna, gli intellettuali come protagonisti e quasi eroi
Del
“Pendolo” Eco non fece la raccolta e il commento dell’accoglienza, come del
“Nome della rosa”. Ma in una conversazione con Jacques Le Goff, moderata da
Jacquaes Anquetil, che il “Nouvel Observateur” organizzò per attutire la recensione di Guignard, Eco spiega: “È un romanzo
contemporaneo sulla paranoia dell’interpretazione”. Sugli eccessi
dell’ermeneutica, e in specie della decostruzione. Fa della “lettura”, o interpretazione, il problema centrale della sua ricerca scientifica: “La
questione dell’interpretazione infinita è un problema centrale per me”. dirà
alla fine. Ma ha premesso: “L’interpretazione paranoica della storia è una
malattia molto contemporanea”. Una sorta di nevrosi che, propone a Le Goff, “si
potrebbe chiamare «gnosi eterna», e cioè l’esigenza, il bisogno che si dà
l’umanità di trovarsi dei superuomini che non hanno il destino degli altri e che
si ritiene posseggano segreti iniziatici”.
Lo
stesso Le Goff sull’“Espresso” si era detto due anni prima, all’uscita del
romanzo, entusiasta. In una lunghissima recensione lo aveva avvicinato a Shakespeare,
Gide e altri nomi che gli venivano alla penna: “Una scelta vertiginosa di delizie…
Un gioco straordinario dello spazio e del tempo… Esco dala lettura così felice
e sconvolto che non riesco a controllare le mie emozioni…”. Il romanzo qui e là
definendo “magico… misterioso… tumultuoso… luminoso”.
Il
settimanale di Eco aveva organizzato il lancio del romanzo con un insieme di
servizi per una ventina di pagine – tra essi un servizio fotografico molto suggestivo
sui luoghi parigini del romanzo. In una lunga intervista con Ferdinando
Adornato, che meriterebbe riprendere, Eco da i due cardini della sua posizione
critica: “Tutta la conoscenza si basa sull’esercizio del sospetto. Sospettare è
giusto. Bisogna però distinguere tra un sospetto «sano» e uno «malato»”. E
questo è quello che si propone di denunciare: “C’è una malattia che si è
impossessata della cultura e della politica della nostra epoca. Per questo ho
scritto «Il pendolo»: per denunciarla. È una «malattia dell’interpretazione»
che ha influenzato tutto, la teologia, la politica, la vita psicologica. Il suo
nome è Sindrome del Sospetto. Il suo strumento è la dietrologia”.
Un
diluvio. Un’alluvione nel campo specifico della filosofia: “C’è nel pensiero moderno
una pratica critica che riproduce la situazione paranoica della Sindrome del
Sospetto. È quello che viene chiamato il «decostruzionismo». È una
degenerazione della semiologia, così come la dietrologia è una degenerazione
della politica”. Molto promozionale, ma sapendo bene di giocare con se stesso:
“La gente che fa il mio mestiere rischia ogni giorno di morire per eccesso di
sperimentazione, per eccesso di intelligenza. Questo succede quando si entra
nei «vortici» dei propri fantasmi intellettuali”.
Un
testo (romanzo?) “molto influenzato”, disse lo stesso Eco, da “un saggio di
Karl Popper sulla nevrosi del complotto, il complotto cosmico”. In “Congetture
e confutazioni”, 1963, ma già nodo centrale della “Società aperta e i suoi
nemici” vent’anni prima. A Popper Eco si rifarà nel suo ultimo intervento
pubblico, alla “Milanesiana” a fine giugno.
Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Corriere della sera, pp. 704 € 9,90
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