giovedì 14 aprile 2016

Il mondo com'è (257)

astolfo

Corruzione - È specialmente legata alla politica locale, di Regioni, Province e Comuni, nei settori delocalizzati della sanità e dell’ambiente, che sono anche quelli a maggiore impegno di risorse pubbliche.
La corruzione è resa possibile, e anzi genetica, come usa dire, per la commistione di pubblico e privato: la concorrenza tra i privati, senza alcun criterio regolatore (capacità, qualità, mezzi economici, competenze), per gli appalti pubblici. In un ambiente economico e politico che dice il mercato - cioè la corruzione stessa - inattaccabile. Il mercato per il politico e il funzionario pubblico è la corruzione.

Giornalismo – È una professione sopravvalutata in Italia, soprattutto dopo la dequalificazione. Inviati e corrispondenti esteri sono sempre sorpresi di tanto credito, americani, inglesi, tedeschi, francesi. Per le condizioni statutarie della professione, la contrattualistica, la previdenza, l’assistenza sanitaria, relativamente privilegiate, e soprattutto per il credito politico. Che va alla professione, senza distinzione di merito. Anche se la stessa si è dilatata, senza più alcun riscontro o controllo, seppure rinunciando alle prerogative contrattuali: online, con la “disintermediazione digitale”, e nell’emittenza.
La stessa proliferazione dei media è all’origine dell’influenza generalizzata che si lega alla qualifica di giornalista, indipendentemente dalla qualità. Insieme con la nascita di “Repubblica” quarant’anni fa, che un paio d’anni dopo ribaltò la selettività della professione che era la regola. Non più poche firme, selezionate, per applicazione, giudizio, cultura, scrittura, che scrivevano di cose che sapevano, e la macchina al desk, ma la non specializzazione: Scalfari a un certo punto teorizzò che lo specialista era illeggibile, e si ebbero inviati all’estero della massima improntitudine, senza cognizioni linguistiche, geografiche, storiche, giusto per fare colore. E analogamente per l’economia e la politica, terreni specialistici: bastava fare rigaggio colorito. La non specializzazione si accompagnò a una democratizzazione che portò in prima qualsiasi cronista, anche novello e inesperto  – la democratizzazione Scalfari promosse per favorire l’inserimento nel giornale dei suoi nuovi dirigenti ex Pci (“Paese sera”, “l’Unità”), al posto del  vecchio gruppo di firme riconosciute liberalradicali che l’aveva accompagnato dall’avvio.
La democratizzazione si è inquinata ulteriormente a partire da Mani Pulite, portando alla ribalta i cronisti giudiziari, che erano, e sono ancora, dopo venticinque anni di predominio nei giornali, i giornalisti più sprovveduti, politicamente, culturalmente: sono segugi, da angiporti di polizie, procure della Repubblica, e servizi più o meno segreti. Ma sono indispensabili per fare il giornalismo scandalistico, quello che una volta si diceva con disprezzo dei tabloid  inglesi.
La rete e la proliferazione televisiva hanno ridotto la lettura del giornale, che ora viene comprato solo generazionalmente, diciamo dai cinquanta in su. E hanno in aggiunta moltiplicato la banalizzazione: perché i new media vogliono essere brevi e non elaborati, e più che giornalismo richiedono presenza scenica - dizione, fotogenia, voce, movimento, linguaggio grasso. Il giudizio si forma superficiale e mobile, e basta ora al giornalista essere giovane e di bell’aspetto, ridire le cose che tutti sanno, avere in canna la parolaccia killer. Godendo – fino a quando? - del vecchio credito.

La disintermediazione digitale, che doveva segnare la fine della professione, ne è invece la celebrazione: tutti giornalisti. Senza studi, senza ricerca, senza approfondimenti, ma tutti opinionisti. Svelti. Il giornalismo che era reportage e inchiesta, è ora solo una leva per apparire. Sia pure fugacemente. Senza retribuzione anche, ma non per eroismo: per godere dell’alea di rispetto.

Italia guelfa – Fu mancata ancora prima dell’unità per un niente - si rifarà con la Repubblica, una lunga storia ormai, di tre quarti di secolo. Nel maggio del 1949, mentre Pio IX , incapace di fronteggiare  il moto liberale che aveva innescato, si rifugiava a Gaeta dai Borboni di Napoli, a Torino veniva nominato primo ministro Gioberti. Riconciliato col re Carlo Alberto di Savoia di cui era stato cappellano, che l’aveva costretto a quindici anni di esilio, ma sempre dell’idea di un’Italia unita sotto il papa. Appena nominato, Gioberti si propose di riconciliare il papa col Risorgimento. Si offrì di trattare con i rivoltosi romani e di presidiare i confini pontifici con proprie truppe. Pio IX gli preferì l’Austria, la Francia e i Borbone. Ovvero, gli obiettò l’ambasciatore di Gioberti, “le baionette barbare e inimiche”.

Italia-Germania – Hanno avuto un processo e un iter nazionalistico parallelo, e per più aspetti simile. Ma le guerre condotte insieme non hanno portato buono alla Germania, l’Italia ha sempre fatto male e malissimo. Nel 1866 e nel 1940. Fu anche per un successo tedesco, contro la Francia nel 18670, che l’Italia ebbe Roma, altrimenti chissà.
Meglio invece l’esercito italiano è andato con gli Alleati. Con gli inglesi nel 1915-1918, e con gli americani in questo lungo dopoguerra, su tutti i fronti dove l’hanno richiesto, dal Libano in poi.

Mani Pulite – In “operazioni pulizia” eccelleva Mussolini, anche se il suo fascismo è rimasto nella storia come corrotto. Erano uno dei suoi modi di governo diretto, monocratico. Contro dirigenti pubblici e imprenditori. Senza distinzione di fede politica, diceva, ma colpiva solo chi lo avversava, o anche solo non lo appoggiava. Incarcerò Gualino e minacciò Agnelli.
Le operazioni Mani Pulite in regime democratico sono naturalmente un’altra cosa. Ci sono processi veri, e più gradi di giurisdizione. Ma i processi in realtà raramente sono “veri”: la maggior parte dei giudici sono pregiudiziati e non lo nascondono, se ne fanno un merito. A tutti i livelli, in Tribunale, in Appello e in Cassazione: il partito preso (politico, economico, tribale, di casta, di parentela – c’è anche la parentela, in tutto il resto del mercato pubblico proibita, ed è rivendicata come patente di nobiltà) è dominante. E comunque l’imputato è “condannato” prima del processo. Con vari artifici: indiscrezioni, anticipazioni, intercettazioni, anche dossier, anonimi ma non poi tanto.
L’equiparazione è peraltro nei fatti: com’era corrotto il fascismo malgrado Mussolini, così resta corrotta la Repubblica dopo Mani Pulite. La sensazione comune è anzi che la corruzione dopo Mani Pulite sia diventata endemica – come se fosse stata liberata: è diffusa, quotidiana, ordinaria. Moltiplicata, per di più, dal Csm in giù, dalla diverse bande giudiziarie, in armi l’una contro l’altra.

Nazismo – Fu anche una banda di profittatori, un aspetto che sempre si tace nelle storie di Hitler. Di cacciatori di patrimoni molto disinvolti. Quelli delle tante famiglie che per ragioni diverse, razziali, culturali, politiche, il nazismo costringeva all’esilio. Perseguite per lo più per delazione, di parte interessata. I casi sono numerosissimi. Normalmente consistenti, ma anche di patrimoni piccoli e piccolissimi: negozi, privative, studi professionali.

La storia del nazismo, che pure è tema preferito degli storici, è stranamente lacunosa. Un altro aspetto sottaciuto è che non molti fiutarono il pericolo Hitler, benché manifesto da tempo. Il rigetto fu istantaneo in sede politica, dei partiti socialista e comunista. Ma lento nell’opinione, per motivi culturali - presso le stesse famiglie ebraiche. Opporsi non era possibile, si subiva la carcerazione o bisognava esiliarsi. Ma molti continuarono a vivere in Germania in condizioni quasi normali, anche gli intellettuali, benché sottoposti a censura e alcuni all’ostracismo. Adorno per esempio per un paio d’anni. Anna Seghers e Lion Feuchtwanger per alcuni mesi – Seghers emigrò dopo essere stata arrestata per appartenenza al partito Comunista. Dei fratelli Mann, entrambi esiliati volontari contro  Hitler, Heinrich fu privato subito della cittadinanza tedesca, Thomas solo nel 1936, quando prese posizione pubblica contro il regime.

Volontari – Sono stati sbandati e avventurosi per lo più. Anche nella guerra civile spagnola, dove più il loro ruolo è celebrato, tanto numerosi e confusionari a difesa della Repubblica – contro l’intervento militare organizzato dei “volontari” del fascismo e del nazismo. Anche nelle rivoluzioni riuscite, in Francia nel 1789, con Garibaldi ovunque, e con i Mille. Dopo l’unità furono con i briganti, numerosi e di qualità, perlomeno di nome. Non si conoscono perché la storia del brigantaggio non si può fare, e comunque non sarebbero celebrati come i garibaldini nella memorialistica e nella toponomastica, e tra i busti del Gianicolo. Ma quelli del brigantaggio non sono da meno, anche se misconosciuti, e anzi hanno nomi e qualifiche altisonanti: il generale e scrittore José Borjes, Alfred de Trazegnies de Namur, Edwin Kalckreuth di Gothe, “conte Edvino”, il colonnello francese de Rivière, il colonnello prussiano Mesorat, il nobiluomo austriaco Ludwig Richard Zimmermann, Olivier de Langlais (Langlois), il maggiore Théodule Émile de Christen, e molti altri. 

astolfo@antiit.eu

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