La vita al Cairo non molti anni fa, a
fumare il narghilè con gli amici, con un tè alla menta, chiacchierare della
rivoluzione socialista che non poteva mancare, nonché di come tirarsi fuori
dalle batoste di Israele, e inseguire la bella Qurunfula. In un paese governato
monocraticamente, da un bonapartismo che perpetuava la tradizione dei khedivé e
dei faraoni, ma nel quale il socialista Nahfuz era onorato del premio di Stato,
e poteva scrivere liberamente su “Al-Ahram”, il quotidiano più diffuso e
autorevole. .
Il primo Nobel arabo per la letteratura
non fa i salti mortali, ma i suoi racconti un mondo delineano, vecchio di
secoli e forse di millenni che dopo di lui all’improvviso è svanito. Fece in
tempo lui stesso, a 83 anni, nel 1994, sei anni dopo il Nobel, a subire un
attentato fondamentalista. Testimone di un mondo che si è disintegrato sotto la
spinta dell’islam dei principati del Golfo.
La nostalgia si moltiplica, sopraffatta
dall’imbarbarimento. Raddoppiata dalla copertina, con un fastoso vassoio di
caffè turco, menta e lukum. Non si è fatto in tempo a smaltire quella per Alessandria,
ultima città franca del Mediterraneo, per egiziani, islamici e cristiani
ugualmente, italiani, greci, libanesi, ebrei e quant’altro, come anche il
Cairo, a Ghezira, a Gamaliyyah, svanita col nazionalismo arabo nel 1956, che si
rimpiange il nazionalismo arabo, progressista seppure monocratico, sotto l’islamismo
– ora è l’Arabia Saudita che guida il mondo, e pensare che quarant’ani fa vi
era proibita radio Nasser, troppo rivoluzionaria per il reame. Si leggono
questi racconti come si legge il “De Reditu” di Rutilio Namaziano, la
letteratura della fine del mondo antico.
Nagib Mahfuz, Karnak Café, Il Sole 24 Ore, pp. 95 € 0,50
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