Perché Cagliostro
interessa tanto i cacciatori di misteri, quando è un personaggio privo di
mistero” – “è così prevedibile che potrebbe essere programmato da un computer”?
Perché il “filocagliostrismo massonico” e “l’anticagliostrismo sanfedista”
possono spiegarsi con lui la rivoluzione francese come un complotto, “sia pure en plein air”. In filigrana, è anche
“l’archetipo dell’uomo senza qualità, che dal proprio tempo si fa
attraversare”.
Eco compilò la plaquette vent’anni fa per riunire
quattro scritti d’occasione a cui era “affezionato”.
La compilazione è
una ricerca sull’umorismo di Campanile, o le origini del riso. Condita da note
affabili su Hugo Pratt (“Corto Maltese”) e sul “Linguaggio mendace di Manzoni”,
da cui il titolo. La quarta nota, “Migrazioni di Cagliostro”, è una coda del
“Pendolo di Foucault”, dell’ossessione per il complotto ossessivo. Con effetti
paradossalmente multipli, da fuoco d’artificio a inneschi successivi, un petardo ne apre un
altro.
Il riso è tema
tormentato di Eco, prima che il “complotto” lo assorbisse, partendo dalla parte
perduta della “Poetica” di Aristotele che avrebbe dovuto sistematizzarlo.
Insolubile, e perciò sempre terreno fertile. Di Manzoni, che non ama ma teme,
Eco traccia i vari linguaggi nel romanzo, erudito, convenzionale, “popolare”,
figurato, ironico, etc., facendo
dell’autore dei “Promessi sposi” un giocatore linguistico – un organista
abilissimo ai vari registri, si direbbe, il Bach del romanzo – più che un
ideologo e un uomo di fede. Ma tale, tanto immerso è in questo gioco, da
rendere i suoi giochi linguistici irrilevanti, “prova ne è che tanti lettori
hanno capito il romanzo saltando, per giustificata pigrizia, tutti gli esempi
di discorsi inconcludenti”.
A Campanile Eco dedica
metà libretto, con lunghissime citazioni. A Corto Maltese un’affettuosa
ricognizione della sua propria smania di lettore affezionato, celebrandone l’autore Hugo Pratt: “Ho sempre sostenuto che i disegnatori si disegnano nei
loro protagonisti”..
Tutto vero, tutto bello.
Con un che, però, di surfeited – di
eccessivo: un secentista avrebbe detto di eufuismo - e insieme di marginale,
irrisolto. Tra menzogna e ironia, Cagliostro resta più inquietante, Manzoni più
apodittico (è un believer, molto
solido malgrado le fobie), Campanile meno “ostinato a domandarsi se sia
scrittore comico o scrittore tout court”
come Eco generoso lo vuole, e Corto Maltese sicuramente un po’ di più del suo
creatore Hugo Pratt, qualsiasi vita questi abbia avuto. E con la sensazione
netta che Eco non si sarebbe offeso da questo rilievo: più che avere ragione,
voleva divertirsi e divertire.
Il vizio della bibliofilia,
in particolare, esercita esagerato su Campanile. Su un autore modesto impianta
ricerche filologiche complicatissime, piene di trabocchetti, rovesciamenti, e
fonti segrete – il rimando decisivo è alle “massime conversazionali di Paul
Grice”, delle quali è arduo sapere cosa siano, nonché del loro autore. Come di un
intento forviante. Parte della più generale apologia della menzogna che Eco
esibisce, tra lazzi e tormenti.
In pillole, è sempre
il semiologo che della sua scienza diceva: “Studia tutto ciò che può essere
usato per mentire” (“Trattato di semiotica generale”, 1975). E tutti i suoi
scritti, si può dire, brevi e lunghi, d’occasione o applicati, di studio o di fiction, ha svolto con ironia su questo
crinale. Ma con ironia lieve, cultore inesausto sebbene disincantato della
verità: a differenza del conte de Milly, che cita in apertura, “che per trovare
l’elisir di lunga vita alla fine sbaglia e si avvelena”, lui si tiene saggiamente
al di qua, dell’avventurismo intellettuale come dell’accademismo.
Umberto Eco, Tra menzogna e ironia
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