venerdì 15 aprile 2016

La poesia del nulla

Un’antologia storica, dalle origini a fine Novecento. Di una forma peraltro che si è poco o nulla evoluta, se non, nel primo Novecento, col verso libero invece della rigida prosodia sillabica 5-7-5. Con translitterazione e ideogrammi a fronte, e una considerevole bibliografia.
Barthes, “L’impero dei segni”, voleva la forma non evolutiva. Arena ci trova invece, da esperto della letteratura giapponese, più di un innesto di novità, soprattutto nelle tematiche. Barthes la dice anche una forma facile, e per questo diffusa: “Avete il diritto, suggerisce l’haiku, di essere futile, breve, ordinario”. L’economia non è arte facile – “si ritrova in tutte le altre sfere del’arte giapponese” - e non è dismissibile, obietta Arena.
Il limite è forse che non se ne può dire nulla, secondo il curatore, seppure gustandola:  esprime lo yugen, un misto di “indistinto” e “misterioso”, una “vaghezza misteriosa”. Esito “d’una cultura intrisa di buddhismo, per cui non sono le cose a essere importanti, ma lo sfondo «vuoto» in cui si iscrivono”. Lo stesso curatore non sa che dirne: “Ogni commento tradirebbe l’immediatezza dell’immagine”. Anche perché “l’haiku rivela uno specchio vuoto. Si iscrive nello spazio senza simboleggiare nulla, e senza la pretesa di avere un significato. È un’immagine opaca, priva di riflessi”.
Ma dire l’ineffabile, cogliere l’imponderabile - senza tuttavia adagiarsi nell’ossimoro, il gioco di parole che la cosa dice col suo contrario – è ben dire. Una poesia che si forma e si percepisce per immedesimazione. Col tratto semplice, evocativo, di immagini accostate. Di logica certo paradossale: ogni cosa è un’altra. Ma semplice e accessibile, esercitandosi sul quotidiano: dapprima sulla natura, negli ultimi suoi praticanti anche sull’uomo (nascita, età, malattia).
Leonardo Vittorio Arena (a cura di), Haiku, Bur, pp. 110 € 5,90

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