“Il punto più
seducente e più irritante di un’avventura è quando due esseri umani, che non
sanno ancora niente l’uno dell’altro, hanno già l’imperiosa abitudine di trovarsi,
a certe ore, l’uno con l’altro”. Una corrispondenza di guerra tra un’artista sgrammaticata
di music-hall, “non brutta” e “non di talento”, con l’affascinante Tenente Blu,
porta a un diapason difficilmente raggiungibile, seppure semplice. A un legame
attraverso la scrittura invece che a letto, sottile ma robusto.
Non una scrittura filologica
– i corrispondenti citano Francis Jammes e Richard Wagner, e praticano figure poetiche non in sintonia. Ma il
loro rapporto a distanza corre come un’ubriacatura. Tra sentimenti semplici.
Quando si incontrano, lui “si accorge che non è più scuro di aver voglia di
diventare l’amante di Mitsou”, con la quale non ha in comune che “discorsi indigenti”. Ma l’incanto non si
dissolve, lei gli scriverà, con la sua logica rovesciata: “La cosa difficile per
voi era non essere amato da me. La cosa quasi impossibile per me era essere
amata da voi”. Non una filosofia
da bacio come sembra. E una storia commovente per quanto non è sentimentale – l’inaffettivo
Proust scriverà che ha pianto a leggerla.
La guerra al music-hall.
Colette scrisse molto della Grande Guerra, da “donna Letizia” o “dal lato
debole”. Qui ne fa un’altra storia: la sua stessa, di giovane provinciale, e
artista del varietà, con l’“Uomo Perbene” - più di un Perbene, almeno un paio di
mariti. Fuori tema, specie in una guerra come quella, ma pietra miliare della
liberazione femminile. Non come userà in sociologia, da un asservimento imposto,
ma come psicologia e modo di essere: la guerra di Colette è metaforica, è quella
dei sessi.
Colette, Mitsou, Passigli, remainders, pp. 123 € 4,50
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