“Le obbligazioni del contesto sono l’essenza
dell’architettura”, Renzo Piano. Non il monumento, dunque, ma il riuso pratico-estetico
degli spazi. Meglio ancora l’uno e l’altro, “l’icona monumentale e il recupero
appena visibile”, il rammendo, nota Richard Ingersoll, lo storico del’architettura
naturalizzato aretino, a Montevarchi. Accoppiata che a Parigi a Piano è riuscita
al debutto, col Beaubourg, un mostro di tubi e trasparenze al centro del
venerando Marais, e a Roma al Parco della musica, i tre coleotteroni che sono
tre casse armoniche, di fuori e di dentro, più un quarto teatro all’aperto, una
larga cavea che li raccorda – un capolavoro anche di riuso degli spazi, persi fra
sopraelevate e strade veloci di scorrimento.
Ora, senatore a vita, Piano privilegia
col progetto G 124 “il rammendo delle periferie”. Che fu la sua prima impresa:
il recupero urbano. A Otranto nei primi anni 1970, in contemporanea con la
realizzazione del Beaubourg, e a Burano. L’architettura come workshop, al recupero e alla
riqualificazione – “Ricuciture urbane e periferiche” è il sottotiolo della
monografia.
Padre non menzionato, sullo sfondo di
questo primo volume di una serie sull’architettura oggi, è sempre Le Corbusier,
dell’architetto che è anche urbanista, o comunque regolatore degli spazi più
che creatore. Dei vuoti più che dei pieni. E dell’ambiente esistente, storicizzato
o “naturale” (abbandonato). All’insegna della sostenibilità e di ogni altra
esigenza contemporanea, il risparmio energetico, l’ecosostenibilità - il verde,
l’aria, l’acqua, i suoni. E dei caratteri acquisiti dai luoghi: le abitudini
dei residenti, le destinazioni d’uso consolidate. Così a Otranto come al porto
di Genova, per i 500 anni della scoperta dell’America, e per lo stesso Potsdamer
Platz di Berlino, anche se interamente rifatto dopo gli sventramenti della
guerra.
Alessandra Coppa (a cura di), Renzo Piano, Corriere della sera-Abitare,
pp. 135, ill, € 7,90
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