giovedì 14 aprile 2016

L’architetto del riciclo

“Le obbligazioni del contesto sono l’essenza dell’architettura”, Renzo Piano. Non il monumento, dunque, ma il riuso pratico-estetico degli spazi. Meglio ancora l’uno e l’altro, “l’icona monumentale e il recupero appena visibile”, il rammendo, nota Richard Ingersoll, lo storico del’architettura naturalizzato aretino, a Montevarchi. Accoppiata che a Parigi a Piano è riuscita al debutto, col Beaubourg, un mostro di tubi e trasparenze al centro del venerando Marais, e a Roma al Parco della musica, i tre coleotteroni che sono tre casse armoniche, di fuori e di dentro, più un quarto teatro all’aperto, una larga cavea che li raccorda – un capolavoro anche di riuso degli spazi, persi fra sopraelevate e strade veloci di scorrimento.
Ora, senatore a vita, Piano privilegia col progetto G 124 “il rammendo delle periferie”. Che fu la sua prima impresa: il recupero urbano. A Otranto nei primi anni 1970, in contemporanea con la realizzazione del Beaubourg, e a Burano. L’architettura come workshop, al recupero e alla riqualificazione – “Ricuciture urbane e periferiche” è il sottotiolo della monografia.
Padre non menzionato, sullo sfondo di questo primo volume di una serie sull’architettura oggi, è sempre Le Corbusier, dell’architetto che è anche urbanista, o comunque regolatore degli spazi più che creatore. Dei vuoti più che dei pieni. E dell’ambiente esistente, storicizzato o “naturale” (abbandonato). All’insegna della sostenibilità e di ogni altra esigenza contemporanea, il risparmio energetico, l’ecosostenibilità - il verde, l’aria, l’acqua, i suoni. E dei caratteri acquisiti dai luoghi: le abitudini dei residenti, le destinazioni d’uso consolidate. Così a Otranto come al porto di Genova, per i 500 anni della scoperta dell’America, e per lo stesso Potsdamer Platz di Berlino, anche se interamente rifatto dopo gli sventramenti della guerra.
Alessandra Coppa (a cura di), Renzo Piano, Corriere della sera-Abitare, pp. 135, ill, € 7,90

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