Ha candidato Bertolaso
sapendo che Rosy Bindi lo avrebbe impallinato. Cercava l’effetto De Luca, che
vinse sfruttando l’impresentabilità dell’onorevole senese, eletta in Calabria
dal voto sicuro, onorato? No, Berlusconi ha perso il fiuto, il polso.
Bertolaso è come tutti i suoi
delfini. Anzi, come tutti i suoi candidati. Nessuno
dei quali gli ha portato un voto, tutti
si sono anzi avvantaggiati dei suoi voti, compresi i leghisti e i finiani ex
Msi, mentre andavano in giro a sparlarne e ridicolizzarlo. Oppure fallivano,
senza residui – il cimitero dei suoi anonimi è impressionante, a volerlo ripercorrere.
Guardandola in spaccato, la
meteora politica di Berlusconi è in effetti una forma plebiscitaria. Accesa
attorno al suo nome, al successo della sua industria di idee e intuito. Un
credito che lui via via ha dilapidato con persone e decisioni sbagliate. Esce
di scena per la protervia della Milano più corrotta. Ma senza un successore per
colpa sua.
Non un fascista, non un dittatore.
Semmai, al contrario, un debole – non solo con le donnette in carriera senza
scrupoli. Ma la sindrome dell’uomo solo sì.
L’uomo della Provvidenza? Sì
e no. Soprattutto è uno che in politica non ha saputo scegliere un
collaboratore capace, uno solo. In azienda sì, anche nel Milan, in politica
niente, zero totale, lascia un deserto.
Ha saputo addomesticare i fascisti,
Fini, Bossi, Storace, Santanché, e altre bestie selvagge. Ma non dare loro un
avviamento, o sostituirli. Come in famiglia, ha saputo rendere intelligenti e
operosi tre figli disappetenti, ma non autonomizzarli. Non è come Dio, che creò
l’uomo con un suo proprio destino, o volontà. Creare non è il suo forte, o non
vi si è applicato – gli imprenditori e i grandi manager hanno più o meno tutti
questo limite, che sono prigionieri si se stessi, rintontiti dai rimbombi del
proprio successo.
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