La satira può essere letale in
tribunale, come ha sperimentato D’Alema. Angela Merkel non è D’Alema, è il
cancelliere più spregiudicato e anche più amato della Repubblica Federale Tedesca,
con governi di sinistra, di destra e di sinistra. Ma ha fatto un errore
diplomatico, se non politico, avviando la procedura contro il comico Böhmermann
per offesa a capo di Stato estero: si è manifestata debole, arrendevole – nel gergo
prebellico una appeaser.
La procedura non era obbligata, come la
cancelliera ha sostenuto in conferenza stampa, ma discrezionale. Per un fatto
che non è “offensivo”: il comico è eccessivo e ingiurioso volutamente, contro
ogni verosimiglianza, e quindi fa satira politica
e non un attacco personale – non si può dire il comico dantesco, a leggerlo qui
sotto, ma per l’intenzione e l’impianto sì: la sua è una invettiva e non una offesa.
Le parole e i toni sono pesanti, ma non c’è tv ormai che se ne salvi.
L’avallo governativo al deferimento è un
gesto dannoso di appeasement. Verso
un personaggio che ha infranto le leggi e la costituzione del suo paese, contro
le minoranze, la libertà d’opinione e la libertà politica. Dannoso perché
indebolisce e non rafforza la cancelliera nell’incontro in calendario sabato
con l’uomo forte di Ankara.
La parola appeasement evoca Monaco, 1938, e Gaziantep non sarà un’altra
Monaco, Merkel non è Chamberlain, Erdogan non è Hitler. Ma la legge vi è
ugualmente calpestata, solo in forme diverse.
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