Analogia
–
È il flusso anonimo, sotterraneo, che collega (compartecipa) la conoscenza e il
mondo – non un oceano dentro il quale le cose nuotano, ma le cose stesse in forma
di oceano. Era “l’amore immenso che che coolega le cose distanti,
apparentemente diverse e ostili”, nella sintesi che Marinetti fece un secolo
fa, “Distruzione della sintassi”, 1912 a Milano, quando la nozione si indagava.
E l’avvicinava allo “Stile orchestrale, insieme policromo, polifonico e
polimorfo”. Anche se non limitatamente, come lui voleva, alla “vita della
materia”: l’analogia, come la musica, è cosa mentale.
Femminismo
–
Più si è scavato più si è scoperto che la donna c’era anche prima. Le donne
della bibbia. Quelle dell’Incarnazione. La successione matrilineare in Egitto.
La donna a Atene. La donna a Roma, da Rea Silvia a Cornelia, madre dei Gracchi,
Lesbia, Messalina, sant’Elena. La donna a Alessandria. Le badesse. Le sante. La
donna nelle campagne. La donna nell’emigrazione degli uomini – ora, per esempio,
nel “patriarcato” indo-arabo-mussulmano. Non facevano la guerra, e con la
guerra non facevano i re, se non per difetto. Ma anche ora, fanno poco la guerra,
e poco volentieri. E per governare vogliono le quote rosa - che però non
riguardano la “condizione” della donna, legale, sociale, antropologica. Si parla
della donna “occidentale”, in carriera.
Marx - Ha toppato Marx fin dall’inizio, nella “Lotta delle classi in
Francia”: “Il trionfo della borghesia ha soffocato i fremiti sacri delle estasi
religiose, dell’entusiasmo cavalleresco e della sentimentalità da quattro soldi
nelle acque ghiacciate del calcolo egoista”. Mentre li aveva allargati al pubblico delle sue signore con servitù, che
ne erano vergini – e in parte resteranno loro immuni. E semmai col calcolo,
cioè con la razionalità, li ha arricchiti di una altra forza di contrasto,
nonché di situazioni. Ma si sapeva già che il romanticismo viene mano nella
mano con la borghesia.
Marx la notte dormiva, quando si pensano le cose
invereconde, soprattutto i capolavori? Di poesia e, pare, di musica - la tonalità
in mi bemolle è stata a lungo, da metà Settecento, la tonalità della notte,
intesa come meditazione.
Nietzsche – È nostalgico
più che eversivo – eversivo per essere nostalgico. È anti-“passeista”,
nella “Seconda considerazione” e altrove, ma per un ritorno più radicale (“profondo”, “autentico”). Un classicista, non per caso
un filologo agli esordi. Anzi un grecista. Per i referenti, Apollo, Dioniso, Marte.
Per le tematiche e il linguaggio. L’altrimenti introvabile Superuomo è ben ellenico,
uno che pensa tutto daccapo originale, rifondatore). Fu considerato in vita, e
si considerava, un buon interprete e non un visionario: un professore, seppure senza
più cattedra.
Non
luogo -
Nozione di Marc Augé, quindi recente, del luogo privo di identità, anonimo
benché affollato: duty free, aeroporti, stazioni di servizio, stazioni. Che
però non si possono dire luoghi privi di carattere né di scopo, anzi sono
utilitaristi al massimo, mirati a uno scopo preciso. Che si può non apprezzare,
essendo commerciale e affaristico, ma c’è. In realtà sono anche (inevitabilmente)
caratterizzati – nazionalmente localmente. Se non altro ai loro stessi fini
commerciali, e quindi luoghi a tutti gi effetti.
Non luogo poteva essere la città
americana degli ani 1950-1960, di sopraelevate
e incroci autostradali, senza un centro urbano, nemmeno il vecchio foro
istituzionale, degli uffici pubblici, tribunali, caserme, chiese, anch’essi disseminati
nell’anonimato - un non luogo che (bizzarramente?) entusiasmava Italo Calvino in
viaggio in America nel 1960, della città come un intreccio e una selva di sopraelevate:
“Uno degli elementi unificatori” dell’America, scriveva nelle note ora
pubblicate col titolo “Un ottimista in America”, “il più bello come fatto
visivo e formale, tutto esattezza e slancio, è il nodo di autostrade…”.
Scuola di
Francoforte – Fu
l’antimassa borghese, non c’è dubbio, anche nella pretesa all’aristocrazia. Dello
spirito ma non senza riflessi nei comportamenti. Specie nella prudenza: se Horkheimer e Adorno avessero osato, con la loro teoria che
l’irrazionale si nasconde nella società borghese, nella razionalità dello
scambio e della concorrenza, molte luci avrebbero spento - e forse non avremmo
avuto l’asfissiante mercato libero.
Nacque americana. Anzi californiana, con
fondi californiani. Fu elitista, e solo formalmente marxista, in sostanza
reazionaria. Fu illuminista anti-illuminista ma nel senso che con la “Dialettica
dell’illuminismo” tentò di portare alla democrazia la filosofia totalitaria
tedesca, Hegel e Marx. Fu poi dotatissima nella Germania Federale di Bonn, tra
contributi pubblici e donazioni private (capitalistiche). Horkheimer era della
famiglia degli industriali della lana sintetica, Adorno di una famiglia di grandi
importatori di vini, nonché di docenti e musicisti. Lukáks, che li ha ispirati,
è mente superiore, ma è anche quello che, da commissario del Popolo di Bela Kùn,
firmò nel 1920 le condanne a morte di molti intellettuali “reazionari”.
L’Istituto fece ricerche sociologiche
che non hanno lasciato alcuna traccia. Se non, forse, quella coordinata da Adorno
sul totalitarismo, di cui molte tracce sono ancora percorribili, più di quelle snidate da Hannah Arendt. Qualcuna anche ridicola - il Questionario F, per rilevare
il quoziente di fascismo dell’intervistato, non è il solo caso.
Non se ne parla più ora che la cultura è di massa – la cultura intellettuale, delle persone colte. La critica della Scuola di Francoforte, quando la polemica è nata, a metà del secolo sorso, ne avversava il tono elitistico, opponendole la cultura popolare. Ma Adorno non criticava la cultura di massa nel senso dell’alfabetizzazione generalizzata, e dell’accesso aperto all’istruzione superiore e alla cultura. Criticava proprio questo: la massificazione del gusto e dell’intelligenza.
Non se ne parla più ora che la cultura è di massa – la cultura intellettuale, delle persone colte. La critica della Scuola di Francoforte, quando la polemica è nata, a metà del secolo sorso, ne avversava il tono elitistico, opponendole la cultura popolare. Ma Adorno non criticava la cultura di massa nel senso dell’alfabetizzazione generalizzata, e dell’accesso aperto all’istruzione superiore e alla cultura. Criticava proprio questo: la massificazione del gusto e dell’intelligenza.
E comunque resta quasi un ossimoro: la cultura non può essere di massa, riduttrice. Anche se lo studio
critico è stato abbandonato dopo Adorno. Da una cultura che pretende anzi di
avere realizzato la rivoluzione di Marx nella filosofia digitale, nella
comunicazione aperta e libera. Come si articola la cultura nella civiltà dei
consumi e della comunicazione di massa è tema irrisolto – anzi non è un tema,
non si pone nemmeno, si vegeta: l’epoca è alla “demonetizzazione”
del linguaggio, come sapeva il non citato Nietzsche.
Transnazionale
–
Come gli affari, la tecnologia, la ricerca scientifica, lo diventa in questi
anni Duemila anche la scrittura, cioè la lingua. Ritenuta finora l’elemento nativo
e nazionale più caratterizzante e quasi indelebile, accompagnandosi al più
complesso linguaggio.
Verità
–
Dio (verità) è interpretazione anche secondo sant’Agostino, “De Doctrina
christiana” – verità dunque non eretica. Confrontato ai libri sacri in versioni
diverse, tutte traduzioni di traduzioni, e nell’impossibilità di ricostituire
il testo ebraico originale, ormai definitivamente inquinato, il credente si
industrierà a ricostruire il Verbo confrontando le versioni tra di loro, l’una analizzando criticamente con
l’ausilio dell’altra, per metterne in rilievo concordanze e contraddizioni, e
quindi misurare i limiti della verità. Che è un metodo filologico, ma anche
l’unico veicolo di verità. La verità è filologia. La verità è una lettura del
mondo.
Simone
Weil
– Una panoramica degli amici e corrispondenti sarebbe utile: pensò molto in forma
di corrispondenza, con interlocutori di cui sarebbe utile conoscere argomenti e
qualità, spessore. Mentre restano altrimenti ignoti, specie per quanto concerne
il radicamento - la fede, il Crocifisso. Anche i più noti, padre Perrin, Joë Bousquet.
O allora non scriveva in forma di dialogo platonico, dei soliloqui in forma di dialogo? Con destinatari
che erano solo nomi, interlocutori di comodo - il Socrate o l’Alcibiade di Platone.
zeulig@antiit.eu
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