sabato 30 aprile 2016

Secondi pensieri - 260

zeulig

Adorno – È bizzarro che, nella disillusione e la rilettura di Heideger alla luce dei “Quadern Neri” , il suo nome non venga nemmeno menzionato. Che pure aveva anticipato queste riletture, già negli anni 1930, cioè subito,  poi nella “Dialettica dell’illuminismo”, in “Minima moralia” e nel “Gergo dell’autenticità”.

Un capitale di anticonformismo – di verità a sorpresa. Di verità “minime”. Non solo nei “Minima moralia”. Lo marchia soprattutto l’avversione di Hannah Arendt, che non tollerava critiche a Heidegger, il suo amore intemerato – e neppure a Jaspers, il suo maestro, che Adorno accomuna a Heidegger nel “Gergo dell’autenticità”. Nel 1963, difendendosi di avere scritto un articolo (in “Die Musik”) nel 1934 con citazione di Goebbels e apprezzamenti per Schirach, il capo della Hitler-Jügend, la gioventù nazista, Adorno riconobbe  “stupidamente tattiche” le sue parole, nella certezza che il nazismo non potesse durare, e rincarava che il vero nazista era Heidegger, “la cui filosofia è fascista fin nei suoi più intimi elementi”. Hannah Arendt la prese malissimo scrivendo a Jaspers: lo accusò di acculare Heidegger all’antisemitismo per pura cattiveria, lo dice”uno degli uomini più ripugnanti che conosca” e afferma che, “mezzo ebreo”, aveva “sperato” a nazismo inoltrato “di farla franca grazie alla sua discendenza italiana per parte di madre”.
In realtà Adorno usava i due cognomi, del padre, Wiesegrund, e della madre. E non accusava Heidegger di antisemitismo: riprovava, con lui, tutti quelli che “Auschwitz non esiste”. Ma faceva di peggio (meglio?): lo acculava alla cerchia dell’“autenticità”, tutta ebraica, Rosenzweig, Buber, etc.   
La polemica anti-Heidegger di molti heideggeriani lo riporta a galla – dovrebbe, non lo fa. Heidegger è oggetto della critica radicale di Adorno dagli inizi, per una ontologia metafisicizzata. E  più nel tardo dopoguerra, a metà anni 1960, nel “Gergo dell’autenticità”, elevata criticamente a “Ideologia tedesca”, la consolazione della superiorità nella sconfitta, la chiusura risentita in sé.

Coscienza – Si può mentire in buona coscienza? “Su un preteso diritto di mentire per umanità” è il noto quesito di Kant. Il quesito si ripropone col ritorno del martirio per ragione di fede, in Cina, nel mondo islamico: si può mentire  per la religione, sulla religione?
Non si può costringere una persona a un’azione contraria alla sua coscienza. Caillois ha, in “Ponzio Pilato,”, un Cicerone-Xenodoto che lo argomenta – in un libro che Cicerone non scrisse, “De finibus potetiae deorum”, sui limiti della potenza degli dei, nel quale avrebbe ripreso le argomentazioni di uno Xenodoto, che era in realtà un filologo, organizzatore della biblioteca di Alessandria ma reputato dai successori per la sua “ignoranza” - come editore di Omero, Esiodo e altri. Da Xenodoto-Cicerone Ponzio Pilato si fa dire che “le divinità, gli astri, le leggi cosmiche, lo stesso inesorabile Destino”, messi insieme, “non potevano costringere il Giusto a un’azione che la sua coscienza gli proibiva”.
Ma la coscienza di Caillois-Cicerone-Xenodoto non può sottrarsi alla legge, o alla conformazione di male e di bene. Umberto Eco argomenta il contrario, “L’isola del giorno prima”: “La prima qualità di un onest’uomo è il disprezzo della religione”. Ma lo fa argomentare a un libero pensatore, che poi cancella.

Heidegger – Bourdieu, “L’ontologia politica di Martin Heidegger” (tradotto “Führer della filosofia? L’ontologia…”), ne fa un campione della “dissimulazione”, volendo argomentare il contrario. Bordieu critica chi trascura l’autonomia dello “spazio filosofico” rispetto all’impegno politico. Ma poi mostra come questi spazi Heidegger articoli nell’“ambiguità”, e non a caso o per errore, ma per una precisa strategia di comunicazione. Ha dovuto, ma di più voluto, atteggiarsi, per una sua propria idea del suo pensiero e del suo spazio pubblico. Da qui allusioni, sottintesi, qui lo dico e qui lo nego, affermazioni-distinzioni. Ciò non gli ha impedito di “produrre” un “discorso filosofico”, indenne anche da condizionamenti politici o partitici, ma senza spiegare le strategie linguistiche, le ragioni del dire e non dire –non potevo, non era possibile, non ho avuto il coraggio, una qualsiasi ragione. In realtà fino all’ultimo,  all’intervista che ha voluto postuma con lo “Spiegel”, non ha disgiunto il “discorso filosofico” dall’impegno politico.

Incontro – Si dirada come esperienza personale e si moltiplica nelle comparsate televisive, in politica, nelle scelte culturali, e perfino come esperienza personale, in forma di transfert, nel divismo e nel “riconoscimento”, come modelli di vita e di attrazione, estetica, spirituale, comportamentale. L’esperienza è sempre più “mediata”, ma l’incontro è più di tutti artificiale. sempre più artificiale. Sotto il parafulmine traditore dell’immediatezza, quando tutto nei media invece è controllato: studiato, calcolato.

Metafora – Boncompagno da Signa, sintetizzando l’opinione del temppo, XII-XIIImo secolo, argomenta nel “De Transumptionibus”, nonché nella “Rota Veneris”  - in una delle digressioni del trattatello, quella sulla transumptio - che non può essere stata inventata che da Dio, quello che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. L’uso della metafora è necessario agli amanti perché l’amore è inconoscibile perfino a chi lo prova.
La transumptio è il sistema espressivo che permette di dire una cosa con un altra. Di dissimulare, se si vuole, ma non a fini perversi. È un sistema che Boncompagno ritiene necessario soprattutto per esprimere l’amore – Paolo Garbini vede nel “De transumptionibus”, “un Boncompagno illuminato (che) anticipa Lacan e a proposito delle immagini oniriche”. La dove scrive che “l’anima fa spesso uso di metafore”.

Nietzsche – La “Nascita della tragedia” è in fondo la sua tesi di laure. Nemmeno di dottorato, dice il professore di Houellebecq protagonista di “Sottomissione”: troppo affastellata. Rileggendola, questa impressione è fastidiosa.

Opinione pubblica – Un disegno diabolico secondo Heidegger, “La questione della tecnica”: giornali e “riviste illustrate” hanno la funzione di “spingere il pubblico” a leggerli, consumarli, al solo scopo di farlo “diventare «impiegabile» per la costruzione di una «pubblica opionione» su commissione”. La dittatura del “si” e della “chiacchiera” stigmatizza ampiamente in “Essere e tempo”. Del resto, “le cose stanno così perché così si dice” era esito già di Karl Kraus, pubblicista impenitente.

Molto Heidegger ne parla (male) anche nell’“Abbandono”, 1959. E negli ultimi “Quaderni neri”, dei secondi anni 1940 e anni 1950, al dire di Donatella Di Cesare che li ha consultati.
Il “rifiuto della comunicazione” è peraltro in Heidegger strumentale, a una sua propria strategia della comunicazione, evidentemente. Più che partecipare a eventi pubblici, li indirizzava, li commentava.

Razzismo-Razza – È una “selezione negativa”, argomentava Jaspers nel  1932, “La situazione spirituale del tempo”. La teoria della razza causa una concezione della storia che è senza speranza; attraverso “una selezione negativa di quella migliore si rovinerebbe ben presto l’esser-uomo autentico” - “una selezione negativa di quella migliore”, al termine della quale nulla rimane.

Redenzione – È il punto debole, e il tarlo della decadenza, dell’Occidente – il progresso, il futuro, della storia come freccia. Del cristianesimo (ebraismo),  secondo il “Sistema Houellebecq”, o del neo deismo, o umanismo, e del “mondo bello” coranico. Mentre è il motore anche dell’islam, che per suo tramite sta uscendo dall’abulia (decadenza). È il proprio dell’uomo nella lettura di Rosenzweig, Buber, Benjamin. Anche di Adorno, che pure è molto critico del “gergo dell’autenticità” di Rosenzweig. Del “Per finire” dei suoi “Minima moralia”: “La conoscenza non ha altra luce che non sia quella che emana dalla redenzione del mondo. Tutto il resto si esaurisce nella ricostruzione a posteriori, e fa parte della tecnica”. Bisogna credere, sono le ultime parole della raccolta di Adorno: “Il pensiero che respinge più appassionatamente il proprio condizionamento per amore dell’incondizionato, cade tanto più inconsapevolmente, e quindi fatalmente, in balìa del mondo. Anche la propria impossibilità esso deve comprendere per amore della possibilità”. Di più: “Rispetto all’esigenza che così gli si pone, la stessa questione della realtà o irrealtà.

zeulig@antiit.eu 

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