Un’altra delle
tante interviste - settecento nella sola Argentina, il doppio con quelle fuori? Questa è la prima alla tv spagnola, settembre 1976, in
contemporanea col ritorno della Spagna alla democrazia. Evento di cui Borges
sembra immemore, poiché s’impegna come non mai altrove, non richiesto, a
professarsi di destra: elogio di Pinochet, con l’annuncio goloso che ne
riceverà la laurea honoris causa, e
di Manuel Machado, il fratello franchista, critica di Garcia Lorca, e della
democrazia (“un abuso della statistica”), straripante di ammirazione e amore per
tutto quanto è tedesco – eccetto Goethe (specie della lingua, che fa vocalica,
e di “vocali aperte”). Dopo avere inneggiato ventenne, ricorda, alla
rivoluzione russa con una raccolta, “Salmos Rojos”.
Per il resto è la solita
conversazione da maestro, incantatore. Si confessa “sgradevolmente
sentimentale”, riscattato in parte dalla scrittura, dall’obbligo per lo scrittore
di rifarsi ai simboli. Consiglia parole semplici, e stile musicale. Fa l’elogio
di Whitman. E soprattutto di Cansinos Assens e Macedonio Fernández.
Jorge Luis Borges, Il linguaggio dell’intimità, Mimesis,
remainders, pp. 62 € 1,95
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