sabato 14 maggio 2016

Firenze al trancio senza’anima

Firenze, quando Elena Stancanelli era piccola, era grande. C’è questa dimensione, perduta, in filigrana sulla memoria. Aveva il doppio degli abitanti, e tra essi anche gente d’ingegno. Ora, non è che i fiorentini d’ingegno siano tutti tra quelli che hanno abbandonato la città, ma è come se così fosse avvenuto. Senza contare che la demografia conta: il dimezzamento della popolazione è un trauma, e l’assottigliamento continua. A vederla dall’esterno Firenze sembra una città abitata solo da turisti, serviti dai nordafricani del mercato di san Lorenzo, e di molto piccolo e medio commercio. Un mondo rispettabile, ma come un gigantesco Tivoli, seppure in solida pietra, un parco del Rinascimento.
Firenze è sempre Firenze, non è stata distrutta, ma è come disabitata, disanimata. È questo che turba la scrittrice quando ci torna, come spesso fa: l’incapacità della città di vivere, se non per vendere ricordini e pizza al taglio, senza nemmeno tanta fantasia. Tornare a Firenze e non trovarci l’anima è vecchio topos. “Ho molti amici a Firenze, ci torno spesso”, scherzava Luca Pavolini, “ma sono tutti vecchi, del Quattro-Cinquecento, qualcuno del Trecento, anche del Duecento”. Si assottigliano anche le migliori rendite, è inevitabile. E quando inglesi e francesi non saranno più incantati dal Rinascimento? Già gli studi italiani latitano da molti decenni, e anche i tedeschi si defilano..
I giapponesi facevano la scuola a Firenze, ancora negli anni 1960, fotografando le vetrine per copiarle, le scenografie delle vetrine, nell’insieme e in dettaglio, e gli oggetti d’uso, golosi, insaziabili, i disegni, i colori. Oggi risparmierebbero la pellicola, se ancora fosse in uso. .
Si fa presto a sparire. Una volta gli asiatici sbarcavano in Europa a Napoli, da qui la popolarità delle romanze napoletane in Cina e Giappone. Ma ora Napoli non esiste più. Tutto il mondo va a Firenze a vedere il Davide, ma potrebbe un giorno decidere che Santa Sofia a Istanbul è meglio, la moschea, o una guglia gotica a Gotheim. O una partita di baseball. È successo, succederà. Roma è già semisparita: la romanità, prima che a Mussolini, si dovette al culto assiduo dei sassoni, e dell’Ottantanove, ma la Rivoluzione è finita, gli inglesi impoveriti, i tedeschi distratti. La romanità, benché tarda, di lois Riegl e Franz Wickhoff è sparita con la memoria dei viennesi. E potrebbe essere negata da un qualche movimento per il retaggio degli unni. L’età di mezzo, Comuni e Rinascimento, e lo stesso Umanesimo devono molto a svizzeri, francesi e americani. Ma gli svizzeri più non se ne occupano, e l’America è sempre meno il New England europeo, latinista. Rimangono i cattedratici, pochi, di Francia e Inghilterra, ma fino a quando?
Non scompaiono i manufatti ma i loro significati. L’Italia, per esempio, il paese che possiede più monumenti al mondo nelle classifiche dell’Unesco, non è un nome per i quattro quinti degli americani del Nord, per tutta l’Africa, Libia eccettuata, con l’Eritrea e la Somalia, e per l’Asia chissà. L’italiano, che era parlato in tutta Europa, fra coloro che sapevano leggere, ancora nel Settecento, resiste solo in Italia, e vi è poco conosciuto. Ma, certo, umorista è nel “Bertoldo” chi è afflitto da umor malinconico
Elena Stancanelli, Firenze da piccola, Laterza, pp. 161 € 9

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