Big Game – Ritorna il
Big Game di fine Ottocento, di “Kim”. Non più in Afghanistan, con le tribù di
frontiera, tra la Persia e il Punjab, oggi Pakistan, zone impervie, allora come
oggi, ma considerate snodo nella contesa imperiale russo-britannica, avamposto
per fermare la discesa degli zar sull’oceano Indiano. La Russia muove coi
missili e l’atomica. In Iran, in Siria, e prossimamente, per il petrolio, in
Arabia Saudita. In Crimea e mezza Ucraina sul mar Nero – in attesa di regolare
i conti con la Turchia, o di farne il suo emporio naturale. E si allarga in
Asia, non c’è argine ex britannico (occidentale) possibile.
Più
nuova, anzi singolare, è l’inerzia dell’Europa. Londra compresa, che il Big
Game storico invece menava, ogni mossa dell’Orso Russo, anche solo immaginata,
contrastando. Non se ne parla nemmeno. Con la geografia si è persa anche la
storia.
Millennio
– Non
l’ha accompagnato la psicosi da fine del mondo dell’anno Mille, ma il terrore
ugualmente ritorna, come a uno sguardo retroattivo. Di un “angelo
dell’avvenire” voltato all’indietro. O di chi fosse in barca nel nuovo
Millennio su natante inadeguato, da profugo nel barcone.
Il denaro essendosi sostituito alla fede, il
Millennio è stato superato in pompa e gala grazie al never had it so good delle presidenze clintoniane post-Tienanmen,
del dodicennio di ipermercato sino-americano. Poi è venuto l’11 settembre. La
storia è così semplice. E di guerra in guerra il business si è rivelato inerziale, e anche truffaldino. Che lo fosse
si sapeva, e che era necessario governarlo. Non si è fatto, non si fa, è la
presidenza inutile di Obama, e l’effetto è la crisi, permanente effettiva.
Entrambi i fenomeni, la crisi in agguato e gli
incerti rimedi, sono in una pagina dell’ultimo Kant, “La fine di tutte le
cose”: “I segni che annunciano il Giorno
del Giudizio (quando mai, infatti, un’immaginazione eccitata da grandi aspettative si farà mancare segni e prodigi?) sono tutti
di natura terrificante. Alcuni li scorgono nel dilagare dell’ingiustizia,
nell’oppressione dei poveri a causa della smodata tracotanza dei ricchi e nella
generale perdita di lealtà e fiducia; oppure nelle guerre sanguinose che
divampano a ogni angolo della terra, e così via: in una parola, nella decadenza
morale e nella crescente diffusione di tutti i vizi assieme ai mali che li
accompagnano, quali, a detta loro, mai si erano visti nei tempi passati. Altri,
invece, li intravedono in mutamenti naturali eccezionali, come nei terremoti,
negli uragani e nelle alluvioni, oppure nelle comete e nelle meteore”. Nel
riscaldamento globale, e l’Ebola dopo l’Aids, oltre che nelle alluvioni
autunnali.
I rimedi sono incerti perché sono – dovrebbero
essere – morali: “Non è immotivata la percezione che gli uomini hanno del
fardello della propria esistenza, per quanto ne siano essi stessi la causa”.
Per questa semplice ragione: “Accade naturalmente che i progressi del genere
umano nel coltivare il talento, l’abilità e il gusto (con ciò che ne consegue:
l’opulenza eccessiva) sopravanzino lo sviluppo della moralità, e tale
condizione è appunto la più gravosa e la più pericolosa sia per la moralità sia
per il benessere fisico. I bisogni, infatti, crescono con forza assai maggiore
dei mezzi per soddisfarli”.
Kant è ottimista, ma per una petizione di
principio: “L’inclinazione morale dell’umanità, tuttavia, che, alla stregua
dell’oraziana «pena, col suo piede zoppo», sempre arranca loro dietro, giungerà
un giorno a superarli (come è lecito sperare che avvenga sotto al guida di un
saggio reggitore universale)”, a superare i bisogni, “poiché nella loro corsa
precipitosa essi si ostacolano e spesso
inciampano”. Il che è vero, ma succede come in una corsa ciclistica, che molti
corridori cadono insieme (nel gruppo), ma la corsa continua senza fine, senza
soluzione di continuità, per quanto perversa.
Realpolitik
–
Incarnata in Bismarck, per il quale uno scrittore non eccelso, Ludwig von Rochau,
la coniò, prendeva a modello Cavour. Come azione politica duttile o dei fatti
concreti, che cerca di trarre un utile da ogni situazione, e essenzialmente
diplomatica, non bellicosa – quale Bismarck invece prediligeva e attuò, in
almeno tre guerre più o meno preventive. E come politica appunto realistica, malleabile, in contrapposizione alle visioni
ideali o di principio, e alle progettazioni, che sono rigide.
Suffragio
universale
– Ricelebrato di recente per i settant’anni del voto alle donne, è scontato
come completamento, e anzi arma definitiva, della democrazia. Ma a lungo fu
contestato su basi democratiche. Quando Bismarck lo adottò, per primo, nel
1867, per vincere le resistenze degli ambienti conservatori e legare la monarchia
al popolo, fu accusato di cesarismo. Dagli stessi liberali. È Bismarck che lo
definisce nelle “Memorie” “la più forte delle armi democratiche”. Il politologo
liberale Hermann Baumgarten, che orientava all’epoca l’opinione pubblica
tedesca, in una “Autocritica” (“Der
deutsche Liberalismus. Eine Selbstkritik”) parlò di “demagogia cesaristica”,
che “mina l’autonomia delle istituzioni”.”. E ancora: “Le suffrage universel minaccia “non solo lo Stato”, minaccia anche
“tutta la Kulture”, portando al
potere i crudi incontrollabili istinti delle masse.
È una critica che Max Weber farà
propria, il suffragio universale del 1867 definendo un mezzo per imporre “il
cesarismo a una borghesia allora indocile”. Bismarck stesso, a giugno del 1865,
nel corso in un Consiglio della Corona, nel quale aveva prospettato l’adesione popolare
indispensabile per il confronto che preparava con l’Austria, si era espresso
così: “Considero le elezioni dirette e il diritto universale di voto un grande
garanzia per una politica conservatrice, maggiore che una qualunque legge
elettorale in qualche modo artificiale, calcolata per il raggiungimento di maggioranze
prefabbricate”. Per un calcolo preciso: “In un paese con tradizioni monarchiche
e senso di lealtà, il diritto universale di voto, vincendo l’influenza delle
cassi borghesi, conduce a elezioni monarchiche”.
Nella stessa occasione prospettò
il suffragio universale come lo strumento migliore per ristabilire il contatto
diretto tra la monarchia e “gli elementi sani che costituiscono il nucleo e la
massa del popolo – contatto impedito dal sistema elettorale per classi”.
Si era in un sistema
costituzionale, peraltro, in cui la consituency
del presidente del consiglio prussiano era il re e non il Parlamento.
Triplice
Orientale –
Accanto alla triplice Alleanza, con Austria-Ungheria e Italia, Bismarck immaginò
e in parte dispose anche una Triplice Orientale. In due versioni, dell’asse
Germania-Austria con la Russia, o Accordo dei Tre imperatori, e dell’Austria-Ungheria
con l’Italia e la Gran Bretagna, per controllare il Mediterraneo – in funzione
antirussa. Pensò di avere realizzato. Le alleanze orientali infatti non furono attive,
e anzi oggetto di intese e non di trattati, tutte peraltro bilaterali e non
collettive. L’Accordo dei Tre imperatori fu in crisi già nel 1985, nella crisi
bulgara.
La Triplice Orientale propriamente detta o mediterranea non fu mai
attiva. Fu sviluppata e negoziata dal conte di Robilant, che da ambasciatore
aveva firmato la Triplice a Berlino, quando nel 1886 divenne ministro degli
Esteri. Al rinnovo del trattato della Triplice, con Germania e Austria-Ungheria,
aggiunse un trattato italo-tedesco che riconosceva all’Italia interessi
preminenti nell’Africa settentrionale, e un tratato italo-austriaco che
garantiva all’Italia compensazioni nel caso di un allargamento dell’Austria-Ungheria
nei Balcani. In parallelo, negoziò e concluse un trattato anglo-italiano, al
quale poi aderì l’Austria, venendo incontro alla politica britannica di
bilanciamento dell’espansione francese nel Nord Africa e russa nel Medio Oriente.
L’accordo fu possibile anche perché i rapporti della Gran Bretagna con la
Germania di Bismarck erano in quella fase ottimi. Ma non ebbe applicazione.
Analogamente per un accordo parallelo che il conte sottoscrisse con la Spagna,
con l’adesione successiva dell’Austria-Ungheria, sempre per lo statu quo nel
Mediterraneo e nell’Africa Settentrionale.
Era una possibilità, come
sviluppo della guerra d Crimea, sempre per il contenimento della spinta russa
verso il Mediterraneo. Cui però il Piemonte di Cavour aveva partecipato, futuri
imperi centrali no, l’Austria e la Prussia. L’obiettivo era lo stesso: tenere
la Russia fuori dagli Stretti, dai Dardanelli. Ma, già allora, la
Prussia-Germania e l’Austria non si ritenevano interessate, “mediterranee”. I
cicli storici ritornano, se ancorati alla geopolitica – o: la geopolitica è un
fatto, si vede anche nella politica putiniana.
Per molti aspetti la recente
contesa russo-turca, e la discesa della Russia in Iran e in Siria, con aperture
alla penisola arabica, sono un remake
della politica degli zar. I bombardamenti concorrenziali in Siria e altrove,
Usa-Francia-Uk da una parte e Russia dall’atra, un remake del Grande Gioco, oggi come allora su terreni infidi, non
leali..
astolfo@antiit.eu
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