sabato 28 maggio 2016

Il mondo com'è (263)

astolfo

Bombardamenti – Quelli a tappeto, quotidiani, senza distinzione di obiettivi, che hanno segnato la seconda guerra, sono campo praticamente inesplorato in Italia e in Giappone. Sarebbero pretesto fertile di narrazioni e immagini, ma sono ignorati. Una trascuratezza che va molto, troppo, al di là della disattenzione. Si direbbe per un senso di colpa introietttato, avallato senza riserve in Italia e in Giappone. Ma, allora, non in Germania, malgrado le dichiarazioni pubbliche?
In Germania i bombardamenti sono materia di molte rricerche storiche e narrazioni.

Egemonia – Una categoria politica di cui discute molto la Germania. Non nel senso di Gramsci – peraltro del tutto trascurato nel dibattito – ma in quello strettamente politico, o del dominio, su cui si imperniava la categoria invece dismessa dell’imperialismo.
L’egemonia di Gramsci è “culturale”, nel senso del’autocoscienza del proprio essere sociale e delle potenzialità. Del dominio, se si vuole. Gramsci si muoveva nel solco di Lenin, che in più punti ne prospetta l’esigenza – “la rinunzia all’idea di egemonia è l’aspetto più grossolano del riformismo nella socialdemocrazia russa”, “dal punto di vista del marxismo una classe che neghi l’idea dell’egemonia o che non la comprenda non è, o non è ancora, una classe, ma una corporazione o una somma di diverse corporazioni”, “è proprio la coscienza dell’idea di egemonia, è propria la sua incarnazione concreta a trasformare, attraverso la sua attività, una somma di corporazioni in classe”. Ma di un dominio inteso come esito di una superiorità di progetto e di scopo.
In Germania se ne discute fra i politologi, a sinistra come a destra, come “potenza”, la potenza della Germania. Gian Enrico Rusconi ne dà una parziale rassegna in “Egemonia vulnerabile”. Con limiti: “vulnerabile”, “riluttante”, “controvoglia”. Ma anche “naturale”, “satura” (?), “della responsabilità”, e “di centro”, o “al centro”, quasi un fato morfologico, un po’ geografico un po’ storico. Dando per scontata l’egemonia economica, e col sottinteso di monetizzarla ora politicamente.
Un disegno a ogni evidenza imperialistico. Seppure giocato sulla cosiddetta “etica della responsabilità” - questo significa il “controvoglia”. Facendo cioè quasi un obbligo morale alla Germania di “uscire allo scoperto”: di assumersi l’egemonia come un onere, uscendo dalla comoda equivoca posizione che avrebbe sempre avuto nella Unione Europea di “leading from behind”.
L’egemonia è vecchio tema nazional-consevatore. Di Heinrich Triepel, dimenticato autore di un’opera già famosa, “Die Hegemonie. Ein Buch von führenden Staaten”, del ferale 1938.  Di Ludwig Dehio, “Equilibrio ed egemonia”, 1954. Ma è ora anche della sinistra estrema, quale è il caso di Wolfgang Streeck, “L’egemonia tedesca che la Germania non vuole”, con la bizzarra ipotesi di un’egemonia imposta a una potenza riluttante. Che Christoph Schönberger aveva appena teorizzato da destra, “Hegemon weder Willen”, controvoglia.
Il fulcro del ragionamento di Triepel, che Schönberger illustra, è la funzione naturale di guida devoluta allo Stato più potente all’interno di una federazione. Naturale, cioè imposta dai fatti. Ciò non è avvenuto per lo Stato federale più longevo e meglio funzionante al mondo, gli Usa. Ma il caso non è nemmeno citato. Ciò non avviene paradossalmente neanche nella Germania Federale, che ormai ha una storia di oltre sessant’anni, quasi più lunga del Reich prussiano, nella quale ha affrontato decisioni difficili, come la riunificazione e la stessa Ue, senza il bisogno di un’egemonia al suo interno. Amburgo e Berlino odiano e disprezzano la Baviera, il profondo Sud, cattolico per di più, che è lo Stato più innovativo e più ricco della Germania e dell’Europa, ma è tutto, non si va oltre il leghismo, non ci sono precettori in questa Germania. Anche  il “caso tedesco” è singolarmente ignorato. L’urgenza è solo imperialista.

Francesco  - Un papa kantiano.”Se si introduce nelle questioni di fede un senso morale (come io ho cercato di fare nella “Religione entro i limiti della sola ragione”), il credente non avrebbe in sé una fede vuota di conseguenze, ma una fede comprensibile e in rapporto con la nostra vocazione morale” (I.Kant, “Il conflitto delle facoltà”, tra filosofia e teologia). Nel suo ansioso inseguimento del secolo, delle novità dell’ultima ora, tanto più se di nemici della chiesa e della fede, Kant è un ancoraggio solido per il papa. Per un’etica (così anche per la fede?) da conquistare in continuuum, vigilando, integrando, mutando, mai dandola per scontata o fissata, magari una volta per tutte. E per una conquista anche personale, non imposta dall’esterno – non soltanto imposta dall’esterno.  

Islam - I jihadisti , nei paesi arabi, hanno in prevalenza formazione universitaria. Una ricerca americana, “Engineering of Jihad”, una denominazione che gioca sull’ambivalenza ingegneria-avviamento, li vuole al 69 per cento di formazione universitaria, e per il 44,9 per cento di questo 69 ingegneri. Questo nei paesi arabi. In Inghilterra e in Francia sono invece giovani per lo più renitenti alla scuola, a giudicare dai tanti protagonisti di attentati di cui si sono ricostruite le biografie .

Notevole è l’islamismo femminile, che invece non si sottolinea. Già nelle grandi masse e manifestazione di piazza pro Khomeini. Molte le madri che hanno “formato” i jihadisti, e le jihadiste, specie in Europa, anche se poi pentite o critiche. A volte è un islamismo modaiolo, con veli vezzosi, come si ama sottolineare nelle cronache ora dall’Iran, e perfino dall’Arabia Saudita – dove le uniche due o tre donne a volto scoperto del reame, peraltro esibito solo a Londra, o a Ginevra, fanno testo. Tuttavia, è indubbio che il motore del ritorno all’islam più tradizionale è proprio femminile, in famiglia e in piazza.

La Germania è la prima terra d’immigrazione di islamici, e di ebrei – ce ne sono stati anche di “ritornati”, quelli fuggiti in tempo o sopravvissuti a Hitler. È il paese europeo che ha più immigrati islamici, o quasi, poco sotto la Francia, che ne ha sei milioni. Ha il doppio egli immigrati islamici della Gran Bretagna, quattro volte quelli dell’Italia. Del resto, è sempre il Paese che ha avuto la maggiore immigrazione del dopoguerra, dapprima dal Sud Europa, poi dalla Jugoslavia e la Turchia, ora dal Medio Oriente, fino all’Iran, e dal Nord Africa. Di lavoratori, ma con diritto al ricongiungimento familiare agevolato. Quindi è terra d’asilo. Con l’immigrazione islamica in massa ha maturato però una rilevante avversione.

Legge – È spesso arbitrio. “La legge è qualcosa di sordo e inesorabile”, si sa, almeno da quando famosamente ne scrisse Tito Livio, 40-41. Ma, si direbbe, con limiti, che sono quelli della stessa legge nel suo significato proprio, come atto di legge. L’altro suo significato, figurato, di apparato repressivo, polizie e giudicatura, è invece slegato da vincoli: è puro arbitrio.
Due cause di lavoro lo ricordano, entrambe allo stesso Tribunale, a Roma, contro lo stesso soggetto, la Rai, che hanno avuto la scorsa settimana due sentenze diametralmente opposte, e in contrasto coi presupposti. Lamberto Sposini, colpito da ictus nello studio Rai dove si apprestava a condurre “La vita in diretta” cinque anni fa, ora in difficoltà per pagarsi le spese mediche e la riabilitazione, aveva citato la Rai per il ritardo nei soccorsi, un paio d’ore, che hanno reso devastante l’emorragia cerebrale. Il giudice gli ha dato torto. Ha invece dato ragione – non lo stesso giudice ma lo stesso Tribunale, la stesa sezione di Tribunale – a una giornalista Rai che ricorreva contro un “demansionamento”: un risarcimento di un milione, e il riconoscimento di un’invalidità permanente del 7 per cento, causata dalla sofferenza psicologica.

Manomorta – Era la rendita dei poveri. In capo alla chiesa, ma a beneficio dei poveri e gli ammalati. Lo ricorda Pasquale Villari nelle sue “Lettere meridionali” del 1862, contro l’appropriazione della manomorta a Napoli - che fu il primo pensiero del governo italiano: era con le rendite pie che si mantenevano i poveri e gli ammalati senza reddito nella città. Lo scriveva anche Carlo Cattaneo, nel 851: “Nella sola provincia di Milano si ha una rendita annua di oltre 7 milioni, proveniente da legati pii, da pie fondazioni”. Una cifra, aggiungeva, “che nelle debite proporzioni dà un risultato di soccorso maggiore di quello che offre la tassa pei poveri d’Inghilterra”.
La nascita della borghesia nazionale ne fu infettata, facendo dell’appropriazione indebita e dell’avidità il suo dna. E una questione sociale subito si creò, per l’abbandono delle masse dei diseredati, di cui le storie nazionali non tengono conto, ma testimoniato ampiamente dal proliferare dell’accattonaggio e le epidemie.

astolfo@antiit.eu 

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