La terrazza è a
Boccadasse. Sconcerto. Montalbano e Livia si parlano come due vecchi coniugi, litigiosi.
Panico. Livia parla siciliano. Un errore, terribile. Il questore distinto
Bonetti-Alderighi interloquisce con “cazzo!”. Allora è una trappola? Ma presto
la cosa scorre come dice Salvatore Silvano Nigro nel risvolto: “Una pagina tira
l’altra” – era il solito incubo (chiamato da Camilleri “sogno”) che apre gli
ultimi Montalbano.
Un Montalbano stiracchiato,
che fa la macchietta alla Fazio e alla Catarella con Fazio e Catarella. L’ennesima
esercitazione politicamente corretta sull’attualità, un paio di articoli di
giornale, del Camilleri neofita militante novantenne, su barconi e i
femminicidi. Il racconto comincia dopo la centesima pagina, prima c’è un morto
ma l’autore se lo dimentica. Il giallo anzi non c’è, o poco – Montalbano non fa
la prima cosa che avrebbe dovuto fare: informarsi della vittima.
Anche il dialetto,
qui accentuato con una dozzina di parole nuove, si conferma inventato. Si
capisce perciò meglio il fascino di Montalbano: è tutto nelle immagini dei film
di Sironi, di cui a ogni pagina si può dire Camilleri utilizza i cliché: la
terrazza, la plaja, il mare, i palazzi, i personaggi di contorno fortemente
caratterizzati, le ricette a pranzo e cena – queste del Montalbàn catalano.
Andrea Camilleri, L’altro capo del filo, Sellerio, pp.
301 € 14
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