venerdì 20 maggio 2016

La recessione più dura, e senza fine

È stata la recessione più dura da quando se ne fa il censimento, da quasi un secolo – peggiore di quella degli anni 1930, dopo il crac del 1929. Anzi, non è stata, è la recessione più dura, perché non  è finita. Ci voleva un presidente indipendente dell’Istat per censire la realtà: “L’Italia sta finalmente uscendo da una recessione lunga e profonda senza termini di paragone nella storia di cui l’Istat è stato testimone in questi 90 anni”. C’è “un primo, importante momento di crescita persistente”, ma “a bassa intensità".  E soprattutto senza futuro.
Non c’è occupazione nuova. Il tasso cresce giusto perché le riforme pensionistiche hanno allungato la vita lavorativa di chi è già al lavoro. L’occupazione dei giovani cala “drammaticamente”.  Non ci sono le scene di panico e di disperazione degli anni 1930 perché si sono gli ammortizzatori sociali e,  soprattutto, c’è la “rendita famiglia”, ciò che le famiglie hanno risparmiato e accumulato negli anni buoni. Ma non si crea niente. I trentenni rimangono a casa dei genitori, non si formano più famiglie, non si fanno più figli. “Nel 2025 il tasso di occupazione resterà prossimo a quello del 2010”, cioè bassissimo, con l’effetto reddito correlato, “ a meno che non intervengano politiche di sostegno alla domanda di beni e servizi e un ampliamento della base produttiva". Politiche di cui non si vede nessun segnale.
La crisi drammatica del crac del 1929 comportò interventi drammatici. Oggi, le reti di protezione di cui le economie si sono dotate alimentano purtroppo l’inerzia. Soprattutto in Europa, l’unica delle grandi aree economiche che si dibatte ancora nella crisi, e non se ne rende nemmeno conto.

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