Bellezza – Si direbbe la visione: vedere
è tutto, vedere la bellezza. Ma i poeti innamorati, Dante, Petrarca,
Shakespeare, Ronsard, sembra non l’abbiano mai veduta. E von Platen: “Chi
guarda la bellezza con gli occhi si è già consegnato alla morte”. O Borges, che
non è mai stato innamorato: “La bellezza è fatalità più che la morte”. Ma si può
dire forse ugualmente finita, con l’amore.
C’è
questa maschera di bellezza attribuita al diavolo. Non nuova, non sensata – una
cosa non è il suo contrario.
Creazione – “Il futuro della letteratura è femminile”. “L’università
è un lavoro come un altro, tipo l’idraulico”. Sono “le leggi della creazione
secondo Jeffrey Eugenides”. Leggere per credere, su “La lettura”.
Dice
anche, Eugenides: “Mi metto scomodo. E scrivo”.
Fedeltà – È
sovversiva in amore – in Adorno, “Minima moralia: “L’ordine della fedeltà, che
la società impartisce, è strumento di illibertà, ma è solo nella fedeltà che la
società si ribella all’ordine della società”. Capzioso, ma oggi, per esempio,
rivoluzionario – anticonformista.
Matrimonio - Il
matrimonio fra casalinghi in appartamento è la caccia all’ultimo orso, senza
tregua? “Nel matrimonio moderno e nei liberi rapporti di tipo matrimoniale”,
argomenta Heidegger, “è molto forte la tentazione di fondersi completamente
l’uno nell’altro durante i primi tempi, di far seguire le ultime riserve
dell’anima a quelle del corpo, di perdersi in una completa reciprocità. Ma
questo non metterà a rischio il futuro del matrimonio?” Lo argomentava per
difendersi da Hannah Arendt? Ma è vero che la misura di penetrazione e
discrezione è difficile, e non è da escludere quanto il Filosofo insinua, che "due si appartengono qualitativamente di più quanto meno si appartengono
quantitativamente, e che molti matrimoni falliscono per poca discrezione”.
Menzogna - “Non bisogna farsi ingannare, a causa della
valenza etica negativa della menzogna”, argomenta ancora Heidegger, “sul senso
del tutto positivo che essa ha nella strutturazione di determinati rapporti
concreti”. Heidegger sa, avendo mentito tutta la vita, con beneficio sicuro di
molte allieve, anche se improbabile della verità.
Il riserbo è una delle massime conquiste
dell’umanità, insiste il Filosofo: “Possono darsi senza pericolo solo quelle
persone che non sono capaci di darsi tutte perché la ricchezza della loro anima
si fonda sulla continua evoluzione”. Quelli che scappano, cioè. O i filosofi:
“Coloro che hanno inesauribili beni psichici latenti e che quindi non possono
rivelarli e donarli in una volta sola, come non è possibile dare assieme ai
frutti annuali di un albero anche quelli dell’anno successivo”. Heidegger era
detto da giovane “il maghetto di Messkirch”, e per questo è simpatico, perché
gli piace.
Purezza – Wagner ci attenta di frequente, attraverso la bellezza e altri
inganni.
Ma cos’ha Wagner di puro, o gli altri interminabili decadenti tedeschi? Non è
buon maestro.
Mai,
neppure nei moralisti padri della chiesa, la purezza è opposta alla bellezza. E
quindi all’amore, sotto forma di passione - non c’è amore freddo.
Romanticismo – Si collega
all’amore, che però ha mortuario. Giace
nel loculo in cui lo ha intombato Madame de Lafayette, che ne aveva orrore: si
muore d’amore nei suoi geometrici racconti. Mentre prima si moriva
correttamente d’amore negato.
È che il romanticismo al fondo è orrore
dell’amore e della natura, si diletta masochista sotto lo stimolo dell’avversione.
Shakespeare – Non si dice di lui, non ci si chiede, che cosa vuole
dire: tra i tanti classici non richiama l’esegesi. Non è profondo? Lo è in
altra maniera, per moltiplicazione e non per compressione. Sono tanti i suoi
personaggi, miriadi quelli minori, i “caratteristi”.
Usa anche registri
multipli, alti e bassi. Delicatissimi, lievissimi, e bassissimi: tagliateste,
ubriaconi, lavandaie, etc. Contemporaneo per esempio nella volgarità - mentre
non ci sono più le Ofelie o Giuliette, e nemmeno le figlie di Lear.
Fu presto riconosciuto
come innovatore perché ha innovato radicalmente: situazioni (storie), personaggi
e linguaggi, fonetici e drammatici (scenografici, visivi). Non si poneva il
suggello dell’arte, un insieme di regole cui obbedire. Si è fatto da sé il suo
canone, si può ditre. Che però non è un canone, ma questo è ciò che distingue
il genio.
È per questa
illimitatezza che è probabilmente autore mondiale. Tradotto in cento lingue,
rappresentato nel deserto o nella giungla, da tutti uomini e da tutte donne, in
costume dell’epoca ma anche in doppiopetto e nudo, le solite esagerazioni
quando un autore domina (crea) le emozioni.
Non ha
personalità, e questo è un problema. Quello dei tanti “Shakespeare non è
Shakespeare”, ma trecento altri: una personalità multipla. Quasi quanto i suoi
personaggi e caratteri. Forse la versatilità, l’inventiva, va con la duttilità
– con un ego non impositivo.
Se non è stato
censito dai suoi contemporanei, lui stesso, benché autore trabordante e
imprenditore di successo, non si è occupato di wikipedizzarsi. Questa “inesistenza”
è però il pendant di buona parte della sua “popolarità”, cioè dell’adattabilità.
Al di fuori di ogni esegesi – cosa aveva voluto dire Shakespeare, in tutto e in
ogni riga e parola – e di ogni “edizione critica”.
Nel saggio
shakespeariano sulla “New York Review of Books” l'altro mese, Greenblatt
richiama la “personalità distribuita” dell’antropologo inglese Alfred Gell.
Applicata alle arti visuali ma buona anche per la letteratura. L’abilità dell’artista
di modellare un qualcosa, che Gell chiama “indice”, che opererà nel mondo
circostante indipendentemente da, e oltre, l’opera e la vita dell’artista. Come
se la personalità del creatore, in tutto o in parte, potesse vivere staccata
dalla sua persona, dopo la morte e oltre. Spesso non riconosciuta, attribuita,
ma fertile.
Questo è
probabilmente vero anche da un altro punto di osservazione: un’appendice della
liberazione dall’esegesi è la possibilità di leggere (rappresentare) Shakespeare
liberamente. La moltiplicazione cioè dei riferimenti e le riprese. Come di un
autore metamorfico.
È finito ad aprile
il tour di due anni che il ricostruito Globe Theatre di Londra ha intrapreso il
23 aprile 2014, per il 450mo anniversario della nascita dj Shakespeare,
portando “Amleto” in giro per ogni paese del mondo. La tornée non si è segnalata, e
anche questo contribuisce al diffuso senso del genio universale – non critico,
non murato nell’esegesi.
Spoon
River – Fa i
cent’anni sempreverde, dopo aver debuttato con immediato e larghissimo successo.
Una cornice dantesca, premetteva Edgar Lee Masters, ma senza interpreti, né giudici.
Ognuno espone le sue colpe e le sue pene, ed è il primo segreto del successo:
la confessione. Ognuno senza esclusione di censo o di ceto: duecento e più
lapidi, tutto un paese – lo stesso farà tre anni più tardi, in prosa, Sherwood Anderson,
con i racconti di “Winesburg, Ohio”. E il tono elegiaco non guasta. È la
ricetta facebook, col ritegno.
Tipografo
autodidatta, Lee Masters aveva affinato conoscenze e gusto con la figlia del
ministro prebisteriano di Lewistown: colta e sensibile, con qualche problema di salute (morirà a trent’anni). Con la quale veniva legato, ma lui dice di no, in
una prosa che dovrebbe accompagnare la ritraduzione della “Antologia”. Anche
lui voleva fare dei brevi racconti ma “metafisici”, quali gli sembrava di
leggere in Poe.
letterautore@antiit.eu
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