lunedì 2 maggio 2016

Letture 256

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Bellezza – Si direbbe la visione: vedere è tutto, vedere la bellezza. Ma i poeti innamorati, Dante, Petrarca, Shakespeare, Ronsard, sembra non l’abbiano mai veduta. E von Platen: “Chi guarda la bellezza con gli occhi si è già consegnato alla morte”. O Borges, che non è mai stato innamorato: “La bellezza è fatalità più che la morte”. Ma si può dire forse ugualmente finita, con l’amore.
C’è questa maschera di bellezza attribuita al diavolo. Non nuova, non sensata – una cosa non è il suo contrario.

Creazione – “Il futuro della letteratura è femminile”. “L’università è un lavoro come un altro, tipo l’idraulico”. Sono “le leggi della creazione secondo Jeffrey Eugenides”. Leggere per credere, su “La lettura”.
Dice anche, Eugenides: “Mi metto scomodo. E scrivo”.

Fedeltà – È sovversiva in amore – in Adorno, “Minima moralia: “L’ordine della fedeltà, che la società impartisce, è strumento di illibertà, ma è solo nella fedeltà che la società si ribella all’ordine della società”. Capzioso, ma oggi, per esempio, rivoluzionario – anticonformista.

Matrimonio - Il matrimonio fra casalinghi in appartamento è la caccia all’ultimo orso, senza tregua? “Nel matrimonio moderno e nei liberi rapporti di tipo matrimoniale”, argomenta Heidegger, “è molto forte la tentazione di fondersi completamente l’uno nell’altro durante i primi tempi, di far seguire le ultime riserve dell’anima a quelle del corpo, di perdersi in una completa reciprocità. Ma questo non metterà a rischio il futuro del matrimonio?” Lo argomentava per difendersi da Hannah Arendt? Ma è vero che la misura di penetrazione e discrezione è difficile, e non è da escludere quanto il Filosofo insinua, che "due si appartengono qualitativamente di più quanto meno si appartengono quantitativamente, e che molti matrimoni falliscono per poca discrezione”.

Menzogna - “Non bisogna farsi ingannare, a causa della valenza etica negativa della menzogna”, argomenta ancora Heidegger, “sul senso del tutto positivo che essa ha nella strutturazione di determinati rapporti concreti”. Heidegger sa, avendo mentito tutta la vita, con beneficio sicuro di molte allieve, anche se improbabile della verità.
Il riserbo è una delle massime conquiste dell’umanità, insiste il Filosofo: “Possono darsi senza pericolo solo quelle persone che non sono capaci di darsi tutte perché la ricchezza della loro anima si fonda sulla continua evoluzione”. Quelli che scappano, cioè. O i filosofi: “Coloro che hanno inesauribili beni psichici latenti e che quindi non possono rivelarli e donarli in una volta sola, come non è possibile dare assieme ai frutti annuali di un albero anche quelli dell’anno successivo”. Heidegger era detto da giovane “il maghetto di Messkirch”, e per questo è simpatico, perché gli piace.

Purezza – Wagner ci attenta di frequente, attraverso la bellezza e altri inganni. Ma cos’ha Wagner di puro, o gli altri interminabili decadenti tedeschi? Non è buon maestro.
Mai, neppure nei moralisti padri della chiesa, la purezza è opposta alla bellezza. E quindi all’amore, sotto forma di passione - non c’è amore freddo.

Romanticismo – Si collega all’amore, che però ha mortuario. Giace nel loculo in cui lo ha intombato Madame de Lafayette, che ne aveva orrore: si muore d’amore nei suoi geometrici racconti. Mentre prima si moriva correttamente d’amore negato.
È che il romanticismo al fondo è orrore dell’amore e della natura, si diletta masochista sotto lo stimolo dell’avversione.

Shakespeare – Non si dice di lui, non ci si chiede, che cosa vuole dire: tra i tanti classici non richiama l’esegesi. Non è profondo? Lo è in altra maniera, per moltiplicazione e non per compressione. Sono tanti i suoi personaggi, miriadi quelli minori, i “caratteristi”.
Usa anche registri multipli, alti e bassi. Delicatissimi, lievissimi, e bassissimi: tagliateste, ubriaconi, lavandaie, etc. Contemporaneo per esempio nella volgarità - mentre non ci sono più le Ofelie o Giuliette, e nemmeno le figlie di Lear.  
Fu presto riconosciuto come innovatore perché ha innovato radicalmente: situazioni (storie), personaggi e linguaggi, fonetici e drammatici (scenografici, visivi). Non si poneva il suggello dell’arte, un insieme di regole cui obbedire. Si è fatto da sé il suo canone, si può ditre. Che però non è un canone, ma questo è ciò che distingue il genio.
È per questa illimitatezza che è probabilmente autore mondiale. Tradotto in cento lingue, rappresentato nel deserto o nella giungla, da tutti uomini e da tutte donne, in costume dell’epoca ma anche in doppiopetto e nudo, le solite esagerazioni quando un autore domina (crea) le emozioni.

Non ha personalità, e questo è un problema. Quello dei tanti “Shakespeare non è Shakespeare”, ma trecento altri: una personalità multipla. Quasi quanto i suoi personaggi e caratteri. Forse la versatilità, l’inventiva, va con la duttilità – con un ego non impositivo.
Se non è stato censito dai suoi contemporanei, lui stesso, benché autore trabordante e imprenditore di successo, non si è occupato di wikipedizzarsi. Questa “inesistenza” è però il pendant di buona parte della sua “popolarità”, cioè dell’adattabilità. Al di fuori di ogni esegesi – cosa aveva voluto dire Shakespeare, in tutto e in ogni riga e parola – e di ogni “edizione critica”.

Nel saggio shakespeariano sulla New York Review of Books” l'altro mese, Greenblatt richiama la “personalità distribuita” dell’antropologo inglese Alfred Gell. Applicata alle arti visuali ma buona anche per la letteratura. L’abilità dell’artista di modellare un qualcosa, che Gell chiama “indice”, che opererà nel mondo circostante indipendentemente da, e oltre, l’opera e la vita dell’artista. Come se la personalità del creatore, in tutto o in parte, potesse vivere staccata dalla sua persona, dopo la morte e oltre. Spesso non riconosciuta, attribuita, ma fertile.
Questo è probabilmente vero anche da un altro punto di osservazione: un’appendice della liberazione dall’esegesi è la possibilità di leggere (rappresentare) Shakespeare liberamente. La moltiplicazione cioè dei riferimenti e le riprese. Come di un autore metamorfico.

È finito ad aprile il tour di due anni che il ricostruito Globe Theatre di Londra ha intrapreso il 23 aprile 2014, per il 450mo anniversario della nascita dj Shakespeare, portando “Amleto” in giro per ogni paese del mondo. La tornée  non si è segnalata, e anche questo contribuisce al diffuso senso del genio universale – non critico, non murato nell’esegesi.

Spoon River – Fa i cent’anni sempreverde, dopo aver debuttato con immediato e larghissimo successo. Una cornice dantesca, premetteva Edgar Lee Masters, ma senza interpreti, né giudici. Ognuno espone le sue colpe e le sue pene, ed è il primo segreto del successo: la confessione. Ognuno senza esclusione di censo o di ceto: duecento e più lapidi, tutto un paese – lo stesso farà tre anni più tardi, in prosa, Sherwood Anderson, con i racconti di “Winesburg, Ohio”. E il tono elegiaco non guasta. È la ricetta facebook, col ritegno.
Tipografo autodidatta, Lee Masters aveva affinato conoscenze e gusto con la figlia del ministro prebisteriano di Lewistown: colta e sensibile, con qualche problema di salute (morirà a trent’anni). Con la quale veniva legato, ma lui dice di no, in una prosa che dovrebbe accompagnare la ritraduzione della “Antologia”. Anche lui voleva fare dei brevi racconti ma metafisici”, quali gli sembrava di leggere in Poe.


letterautore@antiit.eu

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