Céline – Un precario a vita, di fatto e di
sentimento, handicap grave per uno che non aveva scelto e non apprezzava la bohème. Il precario per eccellenza,
frustrato, risentito, marginale – il su demonismo è la sua marginalizzazione
costante. Le biografie non mettono in rilievo questo senso di precarietà. La
prima lettera alla scrittrice Élisabeth (Lucie) Poquerol, per la recensione del
“Viaggio” che più lo ha lusingato, è tutta in queste poche rughe: “Non sono un
funzionario, lavoro a giornata in un dispensario. 60 franchi al giorno. 25
malati. Quando non ci vado non vengo pagato. Niente diritti, niente pensione,
ausiliario, come si dice… Giorno per giorno da 6 anni – da 39 in realtà”.
Depresso
si dice sempre, e non per “cattiva volontà”, e stanco.
È nella
corrispondenza con le “amiche” uomo disincarnato, a tavola e a letto, malgrado
gli eccessi provocatori della stessa corrispondenza e dei romanzi. Parla molto
di sesso ma con occhio clinico. Ricorda N:, nella testimonianza a Colin W: Nettelbeck
raccolta in “Lettere alle amiche”: “Lui che frequentava solo buoni ristoranti,
dove ci metteva un’eternità a scegliere i piatti, attentissimo a tutto ciò che
mangiava, non sembrava ricavarne alcun piacere, cos’ come facendo l’amore”. Era
astemio.
Alla
stessa N. scrive il 22 novembre 1932, vigilia del
Goncourt, che sarà assegnato il 7 dicembre e che è quasi sicuro di vincere: “Sono
continuamente tormentato da tremende miserie materiali e umane e sociali, tanto
che non ho quasi il tempo di vivere, cioè di procurarmi del piacere” – sono o mi sento è la stessa
cosa.
Ipocondriaco fu
certamente, con punte di paranoia. L’insistenza sulle malattie, sulla decadenza
del corpo, l’abulia, l’ossessione del cancro, malato immaginario più spesso che
non. Insistente. Al modo come lo dice alla sua nuova amica, la scrittrice
Élisabeth “Lucie” Poquerol, subito dopo il “Viaggio”: “La mia vita è finita,
Lucie, il mio non è un esordio, è un epilogo nella letteratura, una cosa ben
diversa – o piuttosto le mie vite, poiché insomma ne ho avute almeno tre o
quattro che io sappia”. Lucienne Delforge, la pianista che aveva la metà dei
suoi anni, se ne allontanò perché lo sentiva distruttivo – la “nevrastenia” ne
lamenterà, da “canceroso”.
La vita è “un gioco
al quale in qualche modo abbiamo già perso in partenza”, nota Colin W.
Nettelbeck - curatore delle “Lettere alle amiche” - della prima corrispondenza
di Céline, attorno al 1932, l’anno del “Viaggio” e del successo: comincia qui
il pessimismo di Céline. Che non è connaturato, i coetanei anzi lo ricordavano
espansivo, compagnone, sempre battagliero, anche nelle cause perse. Comincia in
contemporanea col progetto e la redazione di “Morte a credito”: è la cattiva
coscienza di quella terribile requisitoria familiare – Gadda, che ne avrà
sempre cattiva coscienza, anzi se ne farà una colpa, sarà molto più blando. “Io
non ho avuto giovinezza”, lamenterà il 10 marzo 1934 con N.: “Mi vendico a modo
mio su tutto ciò che trovo”.
Il culto della
bellezza, e di una femminilità maschia: compagnona, virile. Nulla del
misantropo, e del lupo solitario.
.
Critica
– È la ragione d’essere dello scrittore per Čechov: ”Se avessimo una critica
saprei se sono un elemento, buono o cattivo, non importa; saprei se sono utile
come una stella è per un astronomo. Cercherei allora di lavorare e sapere perché
lavoro Adesso invece io, voi”, scrive al suo editore Suvorin, “Muraviev, somigliamo
a manici che scrivono libri e pièces
per il loro proprio piacere. Il proprio piacere è una bella cosa, certo, lo si
prova scrivendo, e poi?”.
Senza il
critico, testimone e garante, anche un
po’ pigmalione, non c’è l’opera d’arte: “Un’infinità di razze, di
religioni, di lingue, di civiltà sono scomparse senza lasciare traccia, per
mancanza di storici e di biologi… Allo stesso modo per la mancanza totale di una
critica spariscono sotto i nostri occhi un’infinità di autori e di opere
d’arte”.
Dante –
Era un politicante. La cosa, nel disprezzo oggi della politica come professione,
si trascura. Ma è nel suo caso insopprimibile, tanto più che era per lui un
bisogno, una droga quotidiana.
Santagata
lo ricorda con Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera” domenica: la “Commedia”
è tutta politica, le prime due cantiche, il “Monarchia” ovviamente pure. Quando
scrive l’“Inferno” è guelfo – “Dante confida ancora nell’amnistia personale”. Nel
1308 Corso Donati muore, e con lui la speranza dell’amnistia: “Nel «Purgatorio»
cambia tutto”. Nell’“Inferno” ha condannato Federico II in quanto epicureo, nel
“Purgatorio” ne salva invece il figlio Mafredi, “scomunicato come il peggior
nemico della Chiesa”, ma “capo dei ghibellini italiani”. Lo stesso fa con Federico da Montefeltro e
suo figlio Guido.
Alla
discesa di Arrigo VII, prosegue Santagata, Dante si schiera con lui. Da Genova si
reca probabilmente a Pisa a incontrarlo, nel 1312. A Pisa scrive probabilmente
il “Monarchia”.
Un terzo
cambiamento si ha quando l’imperatore l’anno dopo muore: “Il partito ghibellino
si squaglia e il capo della città diventa Uguccione della Fagiola”. Dante era
già in rapporto con Uguccione, e più lo diventa nell’occasione: Nel 1315 i
pisani cacciano Uguccione, che finisce a Verona, da Cangrande della Scala, “ed
è pobabile che Dante sia stato accolto nella corte scaligera grazie a lui”.
,
Misericordia – È celebrata nei salmi di Borges, un altro argentino, nel
suo “Vangelo apocrifo”: “Beati i misericordiosi, perché la loro gioia risiede
nel’esercizio della misericordia e non nella speranza di un premio”.
Ma il
verso lo stesso Borges commenta in un’intervista come “una liberazione dal
cielo”: “Come disse Shaw, «Mi sono liberato dalla corruzione del cielo». Il
cielo, in realtà, non è che una forma di corruzione”.
Pasolini - La
foja insaziata della mitografia omosessuale si imputava a colpa, è risaputo. È un
classico: “Giura”, irrideva Kavafis al suo sé, e poi, “quando giunge la notte
col suo potere\ del corpo che desidera e reclama, fa ritorno,\ smarrito, a quel
predestinato suo piacere”. Ma Kavafis era ben più solo di Pasolini ad Alessandria.
Che invece ha una larga società che non gliene fa alcun rimprovero, se non
appunto per l’ossessività, ma torna a casa dalla mamma ogni notte in colpa.
Forse per riconoscersi nel materialismo naturale degli aborriti Usa, del sesso
come evacuazione. O in realtà senza colpa, per una voglia sacrificale, verso l’amata
madre altrimenti impossedibile.
Susanna, la madre dolce che cancella il marito, è il tremulo nibbio
di Leonardo e Freud, lo è nei geroglifici in Egitto. Nella leggenda cristiana
il nibbio è solo femmina, fecondata dal vento, novella Vergine. Se l’omosessualità,
forzatamente senza figli, è narcisista, la moltiplicazione delle marchette è un
martello pneumatico contro se stessi, una forma di autocrocefissione, la morte
oscena. Non si sa di un erotismo goduto infernalmente, neppure in Sade. Non
nell’esercizio esasperato dell’omosessualità, la retorica del genere è mite. Voleva
essere il Poeta della Vita, di ciò che è. E la realtà, essendo beffarda, gli ha
restituito odio e umiliazione.
Pinocchio
– Il signor Bortolucci, intagliatore, è il più fotografato della fotografatissima
Roma turistica, nel negozio laboratorio che ha aperto in via di Torre Argentina
dietro il Panteon. Con i Pinocchio che fa intravedere appesi al soffitto, mentre
sull’uscio lavora al tornio. Non c’è bambino che passi che non si fermi
incantato. Non c’è mamma che resista a immortalarsi, anche lei, col burattino.
Anche i babbi sono curiosi.
Epico?
Camilleri, “Certi momenti”, ne ha il sospetto, ricordando che così gli si
presentò alla prima lettura, quando , a dodici o tredici anni, racconta, essendo
stato prima occupato a leggere “romanzi e storie da grandi, non avevo aperto
una pagina dei cosiddetti libri dedicati ai ragazzi”. Ne fu affascinato come
quando, a otto anni, aveva scoperto l’ “Orlando” dell’Ariosto-Doré: “Ne ebbi la
stessa fascinazione subita con l’ “Orlando” e fu forse per questo che le
avventure del burattino si trasformarono per me in un racconto epico; mi colpì
moltissimo la coincidenza del nome Medoro”. Un’impressione che perdura, ancora
oggi che Camilleri ha novant’anni: “Ancora oggi non riesco a non considerare il
libro di Collodi, che ha sempre il suo posto nelle librerie dei ragazzi, come
una narrazione epica”.
Wagner –
“Un romantico”, lo liquida Borges. Forse è qui la radice del disagio – dei non
convincenti fanatismi: “Non capì nulla dell’universo scandinavo”.
letterautore@antiit.eu
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