giovedì 26 maggio 2016

Letture - 259

letterautore

Céline Un precario a vita, di fatto e di sentimento, handicap grave per uno che non aveva scelto e non apprezzava la bohème. Il precario per eccellenza, frustrato, risentito, marginale – il su demonismo è la sua marginalizzazione costante. Le biografie non mettono in rilievo questo senso di precarietà. La prima lettera alla scrittrice Élisabeth (Lucie) Poquerol, per la recensione del “Viaggio” che più lo ha lusingato, è tutta in queste poche rughe: “Non sono un funzionario, lavoro a giornata in un dispensario. 60 franchi al giorno. 25 malati. Quando non ci vado non vengo pagato. Niente diritti, niente pensione, ausiliario, come si dice… Giorno per giorno da 6 anni – da 39 in realtà”.
Depresso si dice sempre, e non per “cattiva volontà”, e stanco.

È nella corrispondenza con le “amiche” uomo disincarnato, a tavola e a letto, malgrado gli eccessi provocatori della stessa corrispondenza e dei romanzi. Parla molto di sesso ma con occhio clinico. Ricorda N:, nella testimonianza a Colin W: Nettelbeck raccolta in “Lettere alle amiche”: “Lui che frequentava solo buoni ristoranti, dove ci metteva un’eternità a scegliere i piatti, attentissimo a tutto ciò che mangiava, non sembrava ricavarne alcun piacere, cos’ come facendo l’amore”. Era astemio.
Alla stessa N. scrive il 22 novembre 1932, vigilia del Goncourt, che sarà assegnato il 7 dicembre e che è quasi sicuro di vincere: “Sono continuamente tormentato da tremende miserie materiali e umane e sociali, tanto che non ho quasi il tempo di vivere, cioè di procurarmi  del piacere” – sono o mi sento è la stessa cosa.
Ipocondriaco fu certamente, con punte di paranoia. L’insistenza sulle malattie, sulla decadenza del corpo, l’abulia, l’ossessione del cancro, malato immaginario più spesso che non. Insistente. Al modo come lo dice alla sua nuova amica, la scrittrice Élisabeth “Lucie” Poquerol, subito dopo il “Viaggio”: “La mia vita è finita, Lucie, il mio non è un esordio, è un epilogo nella letteratura, una cosa ben diversa – o piuttosto le mie vite, poiché insomma ne ho avute almeno tre o quattro che io sappia”. Lucienne Delforge, la pianista che aveva la metà dei suoi anni, se ne allontanò perché lo sentiva distruttivo – la “nevrastenia” ne lamenterà, da “canceroso”.

La vita è “un gioco al quale in qualche modo abbiamo già perso in partenza”, nota Colin W. Nettelbeck - curatore delle “Lettere alle amiche” - della prima corrispondenza di Céline, attorno al 1932, l’anno del “Viaggio” e del successo: comincia qui il pessimismo di Céline. Che non è connaturato, i coetanei anzi lo ricordavano espansivo, compagnone, sempre battagliero, anche nelle cause perse. Comincia in contemporanea col progetto e la redazione di “Morte a credito”: è la cattiva coscienza di quella terribile requisitoria familiare – Gadda, che ne avrà sempre cattiva coscienza, anzi se ne farà una colpa, sarà molto più blando. “Io non ho avuto giovinezza”, lamenterà il 10 marzo 1934 con N.: “Mi vendico a modo mio su tutto ciò che trovo”.
Il culto della bellezza, e di una femminilità maschia: compagnona, virile. Nulla del misantropo, e del lupo solitario.
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Critica – È la ragione d’essere dello scrittore per Čechov: ”Se avessimo una critica saprei se sono un elemento, buono o cattivo, non importa; saprei se sono utile come una stella è per un astronomo. Cercherei allora di lavorare e sapere perché lavoro Adesso invece io, voi”, scrive al suo editore Suvorin, “Muraviev, somigliamo a manici che scrivono libri e pièces per il loro proprio piacere. Il proprio piacere è una bella cosa, certo, lo si prova scrivendo, e poi?”.
Senza il critico, testimone e garante, anche un  po’ pigmalione, non c’è l’opera d’arte: “Un’infinità di razze, di religioni, di lingue, di civiltà sono scomparse senza lasciare traccia, per mancanza di storici e di biologi… Allo stesso modo per la mancanza totale di una critica spariscono sotto i nostri occhi un’infinità di autori e di opere d’arte”.

Dante – Era un politicante. La cosa, nel disprezzo oggi della politica come professione, si trascura. Ma è nel suo caso insopprimibile, tanto più che era per lui un bisogno, una droga quotidiana.
Santagata lo ricorda con Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera” domenica: la “Commedia” è tutta politica, le prime due cantiche, il “Monarchia” ovviamente pure. Quando scrive l’“Inferno” è guelfo – “Dante confida ancora nell’amnistia personale”. Nel 1308 Corso Donati muore, e con lui la speranza dell’amnistia: “Nel «Purgatorio» cambia tutto”. Nell’“Inferno” ha condannato Federico II in quanto epicureo, nel “Purgatorio” ne salva invece il figlio Mafredi, “scomunicato come il peggior nemico della Chiesa”, ma “capo dei ghibellini italiani”.  Lo stesso fa con Federico da Montefeltro e suo figlio Guido.
Alla discesa di Arrigo VII, prosegue Santagata, Dante si schiera con lui. Da Genova si reca probabilmente a Pisa a incontrarlo, nel 1312. A Pisa scrive probabilmente il “Monarchia”.
Un terzo cambiamento si ha quando l’imperatore l’anno dopo muore: “Il partito ghibellino si squaglia e il capo della città diventa Uguccione della Fagiola”. Dante era già in rapporto con Uguccione, e più lo diventa nell’occasione: Nel 1315 i pisani cacciano Uguccione, che finisce a Verona, da Cangrande della Scala, “ed è pobabile che Dante sia stato accolto nella corte scaligera grazie a lui”.
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Misericordia – È celebrata nei salmi di Borges, un altro argentino, nel suo “Vangelo apocrifo”: “Beati i misericordiosi, perché la loro gioia risiede nel’esercizio della misericordia e non nella speranza di un premio”.
Ma il verso lo stesso Borges commenta in un’intervista come “una liberazione dal cielo”: “Come disse Shaw, «Mi sono liberato dalla corruzione del cielo». Il cielo, in realtà, non è che una forma di corruzione”.

Pasolini - La foja insaziata della mitografia omosessuale si imputava a colpa, è risaputo. È un classico: “Giura”, irrideva Kavafis al suo sé, e poi, “quando giunge la notte col suo potere\ del corpo che desidera e reclama, fa ritorno,\ smarrito, a quel predestinato suo piacere”. Ma Kavafis era ben più solo di Pasolini ad Alessandria. Che invece ha una larga società che non gliene fa alcun rimprovero, se non appunto per l’ossessività, ma torna a casa dalla mamma ogni notte in colpa. Forse per riconoscersi nel materialismo naturale degli aborriti Usa, del sesso come evacuazione. O in realtà senza colpa, per una voglia sacrificale, verso l’amata madre altrimenti impossedibile.
Susanna, la madre dolce che cancella il marito, è il tremulo nibbio di Leonardo e Freud, lo è nei geroglifici in Egitto. Nella leggenda cristiana il nibbio è solo femmina, fecondata dal vento, novella Vergine. Se l’omosessualità, forzatamente senza figli, è narcisista, la moltiplicazione delle marchette è un martello pneumatico contro se stessi, una forma di autocrocefissione, la morte oscena. Non si sa di un erotismo goduto infernalmente, neppure in Sade. Non nell’esercizio esasperato dell’omosessualità, la retorica del genere è mite. Voleva essere il Poeta della Vita, di ciò che è. E la realtà, essendo beffarda, gli ha restituito odio e umiliazione.

Pinocchio – Il signor Bortolucci, intagliatore, è il più fotografato della fotografatissima Roma turistica, nel negozio laboratorio che ha aperto in via di Torre Argentina dietro il Panteon. Con i Pinocchio che fa intravedere appesi al soffitto, mentre sull’uscio lavora al tornio. Non c’è bambino che passi che non si fermi incantato. Non c’è mamma che resista a immortalarsi, anche lei, col burattino. Anche i babbi sono curiosi.

Epico? Camilleri, “Certi momenti”, ne ha il sospetto, ricordando che così gli si presentò alla prima lettura, quando , a dodici o tredici anni, racconta, essendo stato prima occupato a leggere “romanzi e storie da grandi, non avevo aperto una pagina dei cosiddetti libri dedicati ai ragazzi”. Ne fu affascinato come quando, a otto anni, aveva scoperto l’ “Orlando” dell’Ariosto-Doré: “Ne ebbi la stessa fascinazione subita con l’ “Orlando” e fu forse per questo che le avventure del burattino si trasformarono per me in un racconto epico; mi colpì moltissimo la coincidenza del nome Medoro”. Un’impressione che perdura, ancora oggi che Camilleri ha novant’anni: “Ancora oggi non riesco a non considerare il libro di Collodi, che ha sempre il suo posto nelle librerie dei ragazzi, come una narrazione epica”.

Wagner – “Un romantico”, lo liquida Borges. Forse è qui la radice del disagio – dei non convincenti fanatismi: “Non capì nulla dell’universo scandinavo”.

letterautore@antiit.eu

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