È il segreto di
Pulcinella: “almeno un quarto” della popolazione vive oggi, in tutti i paesi,
anche i più ricchi, in condizioni di precarietà: occupazione a termine e occasionale,
iperprofessionalità richiesta e inutilizzata, erosione delle aspettative e della
personalità, demotivazione. Aggiungendolo a quell’altro quarto, o poco meno, che
sono poveri, si possono “raddoppiare” le considerazioni di Standing, lo
studioso della precarietà: la civiltà digitale e dell’affluenza per tutti crea
povertà e precarietà. Crea cioè incertezza, disillusione, stanchezza, tutto il
contrario di dell’innovazione sempre benefica e ricostituente. C ‘è da essere
per perplessi del senso della storia, e del progresso.
Un altro dato si
può aggiungere all’atlante della precarietà di Standing: principalmente sono le
nuove professioni, legate alla civiltà digitale, a imporre l’incertezza. In
Italia Eurostat censisce 558 mila precari nell’informatica, tutti giovani.
Il precario di oggi
è uno istruito e specializzato, giovane
o giovanile, con retribuzioni incerte e occasionali, e comunque ridotte. Ancora
più ridotte considerando la reperibilità costante, senza orario di lavoro, e
quindi sena straordinari, vacanze, week-end, e in genere tempo libero. Dirla
una schiavitù non si può, il precario è pur sempre libero, ma di fatto sì: una schiavitù
senza l’obbligo del mantenimento.
L’esito più
interessante della ricerca di Standing è il collegamento fra il precariato e il
populismo – fino all’intolleranza. Che domina l’opinione in Europa, e ora anche
negli Usa. Standing non può naturalmente anti vedere il fenomeno Trump, ma ne
ha censito e analizzato i presupposti.
Guy Standing,
Precari. La nuova classe esplosiva,
Il Mulino, pp. 303 € 13
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