Il terremoto
del Friuli, catastrofico, “Repubblica” lo mancò. Era in rodaggio, usciva da tre
mesi, e non faceva la ribattuta notturna, per economia, ma un giornale si
segnala per i casi eccezionali. Giorgio Tosatti, che stava al piano di sopra,
alla direzione del “Corriere dello Sport”, conoscenza di famiglia e come sempre
bonario, pure si meravigliò, anche molto, preoccupato più che ironico.
Non fu un
incidente. A gennaio 1977, a quasi un anno dall’uscita, non si pubblicherà la
lotteria di Capodanno. La cronaca dava fastidio, gli eventi. Il giornale era un
progetto politico. La leva di una politica progettuale, professorale. Con un
“gruppo dirigente” (terminologia di Scalfari) aloof, invaghito del suo
progetto.
Oggi che il
giornale è onnivoro, di ogni traccia o dettaglio, benché ancora pregiudiziato,
quella “Repubblica” è di strana attrattiva benché “fuori del mondo”. Perché
conscia dei suoi limiti? Scalfari si asteneva dalla politica estera, non ne
sapeva, non gli interessava (a lungo non seppe cos’era un samizdat, né procurò di saperlo), e dalle questioni etiche (Calvino
sull’aborto, sul “Corriere della sera”, mentre “Repubblica” schierava il
leggero Arbasino, lo atterrì – riscoprì nell’occasione le giovanili complicità
liceali e sanremesi), e non lo riteneva un limite.
Qui c’è anche l’ineffettualità
della politica - o subcultura come allora si diceva - laica.
Nessun commento:
Posta un commento