venerdì 6 maggio 2016

Quando “Repubblica” non lo diceva

Il terremoto del Friuli, catastrofico, “Repubblica” lo mancò. Era in rodaggio, usciva da tre mesi, e non faceva la ribattuta notturna, per economia, ma un giornale si segnala per i casi eccezionali. Giorgio Tosatti, che stava al piano di sopra, alla direzione del “Corriere dello Sport”, conoscenza di famiglia e come sempre bonario, pure si meravigliò, anche molto, preoccupato più che ironico.
Non fu un incidente. A gennaio 1977, a quasi un anno dall’uscita, non si pubblicherà la lotteria di Capodanno. La cronaca dava fastidio, gli eventi. Il giornale era un progetto politico. La leva di una politica progettuale, professorale. Con un “gruppo dirigente” (terminologia di Scalfari) aloof, invaghito del suo progetto.
Oggi che il giornale è onnivoro, di ogni traccia o dettaglio, benché ancora pregiudiziato, quella “Repubblica” è di strana attrattiva benché “fuori del mondo”. Perché conscia dei suoi limiti? Scalfari si asteneva dalla politica estera, non ne sapeva, non gli interessava (a lungo non seppe cos’era un samizdat, né procurò di saperlo), e dalle questioni etiche (Calvino sull’aborto, sul “Corriere della sera”, mentre “Repubblica” schierava il leggero Arbasino, lo atterrì – riscoprì nell’occasione le giovanili complicità liceali e sanremesi), e non lo riteneva un limite.
Qui c’è anche l’ineffettualità della politica - o subcultura come allora si diceva - laica.

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