La crisi
dell’Europa non è un arcano: è l’esito della politica di Angela Merkel. Fino alla beffa di oggi, testimoniata dall’Esmt
di Berlino, European School of Management and Technology: gli aiuti alla
Grecia, che Merkel ha voluto insufficienti e in ritardo, sono andati per il 95
per cento alle banche - dei 220 miliardi prestati, solo 9,7 sono andati alla
spesa pubblica, 210,3 alle banche. Quanto
a Bismarck, è tante cose, ma dal punto di vista europeo e degli equilibri è
quello che ha trasformato una nazione mite e cosmopolita in una massa di
rancorosi, che si vogliono aggrediti e derubati. Già la guerra alla Francia del
1870 volle non più di eserciti ma totale e senza condizioni, se non la resa: si
prese l’Alsazia e parte della Lorena, pretese i danni di guerra, benché
l’avesse dichiarata lui, e proclamò l’impero tedesco nella reggia dei re
francesi a Versailles, impero continentale.
Qui si parla della
Germania come di “potenza satura”, “centro gravitazionale”, “potenza di
centro”. Roba di sociologia politica infetta. Ridicolmente germanocentrica,
poiché considera “potenze alle ali” la Russia, ieri e oggi, e la Gran Bretagna,
che al tempo di Bismarck era la potenza mondiale. Mentre già Nietzsche sapeva
di che si tratta. E non sfugge a nessuno che, fatta la tara dell’antisemitismo,
Hitler è un concentrato di Bismarck – non nobile e anzi borghesuccio, ma non
un’eccezione, non ci sono interruzioni nella storia.
Bismarck viene
ritratto “stupito e turbato”. Ma era stratega e policymaker, architetto e comandante in capo. Non agiva di rimessa
ma all’attacco, meglio se preventivo. Questo è oggi ritenuto normale, ma non un
secolo mezzo fa, c’era ancora fair play.
Mai in difesa in ogni suo atto politico in 28 anni di governo, all’esterno e
all’interno. Rusconi insiste che Bismarck si opponeva alle guerre preventive
che i generali gli suggerivano, mentre è vero che ne ordinò tre, contro la
Danimarca, l’Austria e la Francia, e altre ne minacciò.
Del centro, o della distruzione dell’Europa
Aggiornato, quello
del “centro” è il tema di Hillgruber, “La distruzione dell’Europa”: un nuovo
“centro gravitazionale” che rovescia il rapporto di forza con le “ali”. Che
però non rovescia, lo sfida, che è
diverso. Finendo per portare in Europa il
conflitto. Non si è parlato di Brexit fino a che l’Europa non è stata
impantanata nella crisi, dell’economia e dell’immigrazione. E ognuno vede il
disastro della liberazione dell’Ucraina, per parlare tedesco: con l’Ucraina
dimezzata. Fra Germania e Russia non ci
sarebbero vere ragioni di scontro, ma questa Germania le fa sorgere. Come con
l’Italia, per dire. Per facilitare e accrescere il proprio beneficio,
nazionale, sempre lamentando aggressioni e ruberie. Come fa ora l’incredibile
Dobrindt, il ministro anti-Fiat, uno che quattro anni fa voleva la Grecia fuori
dall’euro, e poi l’Italia..
Motivi per la
Germania di fare guerra all’Italia ce ne sarebbero ancora meno che con la
Russia. La Germania è il paese con cui l’Italia ha più felicemente convissuto
nella storia, fino a un secolo e mezzo fa, e nelle breve Repubblica di Bonn. Si
dice il rigore. Ma quale rigore? Del calcio di rigore che Merkel si assegna e
tira contro l’Europa, che ha fatto e fa soffrire senza alcuna necessità, se non il vantaggio comparato per la
Germania. Il rigore dell’assurda politica filoturca e antigreca. Che oggi porta
Merkel a Ankara, sua meta ormai d’elezione, ai piedi di un piccolo dittatore
che non nasconde di esserlo – mai nemmeno viceversa, che Erdogan vada a
chiedere qualcosa a Berlino. O dell’antieuropeismo populista che avvelenerà la
Germania, dopo l’Austria, è matematico, figlio di tanta arroganza – Merkel lo
imputa a Draghi, e non sa nemmeno di dire una barzelletta: Draghi era un drago
al tempo della “grande Bertha”, il salvataggio delle banche, soprattutto
tedesche, ora è da svillaneggiare.
Rusconi esuma forse
materiali residui di un bicentenario l’anno scorso della nascita di Bismarck
che sono passati inosservati, salvo i suoi propri contributi. Poca roba, poco
documentata, se non con politologi tedeschi. Alcuni, pochi: non c’è Habermas,
c’è poco Beck, e di Streeck un’analisi quasi merkeliana, mentre è critico,
forse più di Habermas – basterebbe leggere l’attacco della recensione, il 31
marzo sulla “London Review of Books”, del libro di Martin Sandbu: “Europe’s
Orphan”: “L’Europa è allo sfacelo, distrutta dai suoi fans più devoti. In
estate, avendo
umiliato i Greci con un’altra riforma diktat, Angela Merkel ha iniziato un
nuovo gioco, per divergere l’attenzione dal disastro economico e politico che
l’unione monetaria è diventata. Cambi improvvisi di politica non sono niente
di nuovo per Merkel, che è meglio descritta come un politico postmoderno con un
premoderno, machiavellico disprezzo insieme per le cause e la gente…”.
Un mondo di ladri e fannulloni
Merkel non c’entra
con Bismarck. Ha liberato l’Ucraina con le rivoluzioni arancioni, dimezzandola.
E vuole le sanzioni contro la Russia, ma non per sé, lei ci commercia
liberamente. “Renaissance bismarckiana”?
Sì, ma nel senso di una statemanship
deteriore, distruttiva. Buona, forse, per la malsana propaganda della Germania
giudiziosa, in un mondo di ladri, che s’ingozza a spese dei tedeschi.
Si prenda il
balletto indecoroso al Brennero dell’Austria-Germania invasa dall’Italia,
mentre è in senso inverso che gli afroasiatici piuttosto scappano – la fiera
del teutonismo post-bismarckiano, ora merkeliano. E chi ha voluto la Ue inglobata
nella Nato, parte passiva? Per risparmiare qualche euro sulla politica estera e
di difesa, senza la quale l’Europa non c’è. Non si può dire l’Europa umiliata
da Putin, perché l’Europa non c’è. Rusconi lo fa dire all’ex cancelliere
socialista Schröder nel suo libro-intervista, “Klare Worte”, che stranamente non
si traduce – ma non ne tiene conto: “L’Occidente non si fida di Putin e Putin
non si fida dell’Occidente”. Dopo aver detto che per “la classe dirigente russa”
l’Occidente è “anzitutto la Germania”. È la Germania che ha chiuso la saracinesca,
di Angela Merkel: “Ai miei tempi come a quelli di Kohl, che io ho espressamente
seguito, le estensioni della Nato verso Est erano ancora possibili, perché
avevamo cancellato le ansie della dirigenza russa”. Dopo non più: “Dopo di me
direi che c’è stata un fase in cui Frau Merkel voleva chiaramente interrompere la politica verso la Russia dei suoi predecessori,
non solo la mia, anche quella di Brandt, di Schmidt e di Kohl”. Merkel ha perduto,
ma costringe l’Europa alla sconfitta.
Ora delega alla
Turchia il diritto d’asilo e d’immigrazione, a così forte caratura identitaria.
A un Paese che essa stessa non ha voluto in Europa in nessuna forma. Che non ha
nemmeno firmato gli accordi di New York del 1967, e quindi riconosce il
diritto d’asilo ai soli profughi europei. A un regime autoritario, di un
governo che è prim’attore die conflitti che generano l’esodo, in Iraq e in
Siria.
Merkel si prende
dalla fine, cancelliera onnipotente. Mentre è solo spregiudicata. Ha liquidato
il suo partito, con la sola eccezione del fido Schäuble. Con una serie di colpi
di mano, il più feroce dei quali contro il suo pigmalione – “ho bisogno di un
esponente dell’Est” – Helmut Kohl, che ancora non cessa di pensarne male, non
potendo più parlare. E guida la Germania e l’Europa con l’improvvisazione.
È probabilmente
raro, è comunque una strana sensazione, trovarsi in disaccordo con tutto ciò
che pure si legge con interesse, tema per tema, anzi riga per riga. Per di più
con la sensazione costante che l’autore voglia dire il contrario di quello che
scrive, con la perifrasi, l’allusione, la riserva – ma allora sarebbe un
repertorio revulsivo del pensiero politico in Germania che propone, e questo
non è possibile. È quello che si dibatte in Germania, tra storici e sociologi,
e Rusconi, benché parte in causa, argomentatore anch’egli implausibile, avrebbe
allora il grande merito di darcene conto. Ma perché tra le righe? C’è la
sudditanza psicologica del germanista, ma solo quella? Come non vedere che la
Germania ha cambiato natura, non solo dimensioni, con la riunificazione,
rispetto a quella di Bonn?
Bismarck non
c’entra nulla con Angela Merkel. Lo dice anche Rusconi: “Bismarck, per
convinzione e formazione, è un antiliberale. La sua prima dichiarazione da
presidente del consiglio prussian, il 29 settembre 1862, è chiara: “La Germania
non guarda al liberalismo della Prussia, ma alla sua potenza”. Per imporsi al
resto della Germania e al mondo, che allora era l’Europa: “La Prussia deve
concentrare la sua forza e tenerla insieme per il momento favorevole che ha
mancato altre volte”. Deve prepararsi alla guerra: “Le grandi questioni del
nostro tempo si decidono non con discorsi e risoluzioni di maggioranza… ma con
il ferro e il sangue”.
Era la Germania di
Bismarck una potenza europea, come ora si vuole quella di Merkel? No, era
mondiale. Il congresso di Berlino, 1878, si raddoppia nel 1885 di una congresso
coloniale, con l’Africa tedesca, le concessioni in Cina, la flotta. Era la
Germania all’inseguimento della Gran Bretagna, potenza allora egemone nel
mondo, grazie alla flotta. Guglielmo II licenziò Bismarck per realizzare lui il
suo programma, quello del cancelliere: la Grande Potenza mondiale al posto dei
suoi cugini di Londra, con la flotta più grande.
Rusconi dà molto
credito alle “Memorie” prolisse di Bismarck, che dice perfino ben scritte,
anche contro l’evidenza, e non si capisce perché. Bismarck era un
antiparlamentarista, e la prima sfida alla Camera prussiana la fa sul bilancio
militare. La storia della Germania bismarckiana, quella dell’unità, è una tale
serie ininterrotta di errori grossolani, le cosiddette accelerazioni della
storia, che si stenta a crederli possibili. In questo senso sì, Merkel si può
accostare a Bismarck.
Leading from behind
Il numero delle
bizzarrie è inesauribile. Rusconi insiste, trattando l’inafferrabile “potenza
di centro”, sul ruolo pacificatore della Germania nei confronti della Russia.
Mentre l’ha sempre sfidata. È un dato di fatto, come ha concluso Magris quando
ancora un germanista lo poteva: il
“destino tedesco” si combatte con gli slavi, “nel vasto territorio e nel tempo
plurisecolare del loro confronto”. Lo
stesso Schröder rabbonitore andrebbe rivisto. Rusconi amplia a dismisura il Kohl che a
Mosca promette a Gorbaciov nel 1990 di finanziargli la perestrojka,
e di bloccare la Nato all’Oder-Neisse, in cambio dell’accettazione dell’unità.
Mentre voleva solo incassare. E già due anni dopo aggrediva la Russia indirettamente,
via Serbia, promuovendo la dislocazione della Jugoslavia – che Rusconi e i suoi
storici-politologi non menzionano nemmeno: una stupidaggine e un atto efferato,
che Kohl promosse all’unisono purtroppo col papa santo Giovanni Paolo II, che
era antirusso e volentieri sacrificò il suo dialogo delle fedi all’aggressione.
Sui rifugiati e
altri immigrati, che si avventano sull’Europa, “siriani” i più solo di nome,
Rusconi fa gran pregio dell’inventiva e l’umanità di Angela Merkel. Mentre è
sempre quella del “troppo poco troppo tardi”. Una che, al coperto del “possiamo
farcela”, ributta le responsabilità comodamente sull’Italia che li fa passare,
i “siriani”, dopo la Grecia. Come fa lo studioso a non vederla, questa è
politica di tutti i giorni. E la ricetta anticrisi, che è solo questo: si fa
quello che sta bene a me. E poco importa che, a causa mia, l’Europa sia ancora
in crisi mentre il resto del mondo è tornato da anni a galoppare. Nella crisi
peggiore dell’economia moderna. Questo si chiama mercantilismo. È il proprio
del capitalismo avvantaggiarsi delle difficoltà altrui – la concorrenza. E come
disegno di politica economica è il cuore dell’imperialismo, senza le armi.
Egemonia sì, ma di forza.
Rusconi giunge
perfino, qui non c’è ironia possibile, a tenere conto del “Draussen”, del mondo
esterno, al modo come i piccoli tedeschi ne tengono conto, di un mondo
fannullone e ladro. Magari correndo a salvarsi dagli immigrati, come oggi fa da
Erdogan, avallandone la politica fascista, dopo aver rifiutato le richieste
della Turchia e dello stesso Erdogan di negoziare uno statuto europeo. La crisi
degli immigrati oggi è peggiore di prima? No, prima la Germania aveva bisogno
di forza lavoro a buon mercato, ora vorrebbe limitare i flussi. Dov’è la
preveggenza, dov’è il disegno politico e strategico? Quali sono i fondamenti
della pretesa egemonia?
L’egemonia tedesca
si vuole con aggettivi, e questo dice che è una cosa che significa un’altra.
“Riluttante” per l’“Economist”, “dimidiata” per il vecchio Dehio, “vulnerabile”
per Rusconi, “satura” per altri – satura? E non si sa che cos’è, a parte fare i
propri affarucci. In questo Merkel eccelle. E in che altro? L’“Economist” di
cui tanto Rusconi fa conto, ne consacra il metodo come un “leading from behind”, che, forse involontariamente, dice tutto. Bismarck oggi è semplice: perché
l’Europa è imbarbarita?
Nessun commento:
Posta un commento