Adorno - È bizzarro
che, nella disillusione e la rilettura di Heidegger alla luce dei “Quaderni
Neri”, il suo nome non venga nemmeno menzionato. Che pure aveva anticipato queste
riletture, già negli anni 1930, cioè subito, poi nella “Dialettica dell’illuminismo”,
nei “Minima moralia” e nel “Gergo dell’autenticità”.
Deismo
–
È la fede (teoria) del signor Kirillov, “ingegnere costruttore dei più
insigni”, nei “Demoni” di Dostoevskij, che al posto di Dio mette l’uomo.
Heidegger
–
“Cosa aveva il nazismo per attrarre uomini come Heidegger?”, la domanda di Remo
Bodei (“Segni di distinzione”, introduzione a Adorno, “Gergo dell’autenticità”,
1998) è sempre inevasa. Ma ingenua: perché Hitler non avrebbe dovuto attrarre
Heidegger?
L’osservazione di Adorno, “Il gergo
dell’autenticità”, p. 8, è pertinente: “Il fascismo non fu semplicemente quella
congiura che pure fu, ma sorse entro una forte tendenza di sviluppo sociale. Il
linguaggio gli concede asilo; in esso la sventura, che ancora cova sotto le
ceneri, si manifesta come se fosse la salvezza”. Le parate sono di parata, la
guerra – il linguaggio – è il suo essere.
Una filosofia che si salva perché
inafferrabile, ma molto sa di strapaese. “C’è storia quando l’aereo porta
Hitler da Mussolini”, insegnava. Non quando Hitler incontra Mussolini, quando
l’aereo ce lo porta – invece che il treno, o la carrozza a cavalli? Le sue
stupidaggini in materia di “tecnica” sono innumerevoli perché radicate in un’ideologia
della tecnica buona, che è quella della “vicinanza”, delle “origini”, del luogo
natio e solitario, la Heimat (piccola
patria, quasi domestica) e la Hütte (capanno,
rifugio), con annesso agrarismo e montanarismo. Del piccolo nazionalismo, meglio
se aggressivo: compatto, radicale, alla morte. Troppo spesso Heidegger evoca lo
“Strapaese” parafascista, non solo nei discorsi d’occasione o giornalistici.
Complicandolo ma al fondo sempre petty
nazionalista: risentito
Indoeuropeo
–
La parola che il dottor Thomas Young, funzionario coloniale, partorì e tenne a battesimo piacque perché dava
l’idea della purezza bianca anche nella lingua? Dare un’idea di purezza alla “razza”
in Europa, che è un trivio - sempre stata, non solo ora con l’immigrazione di
massa. Una parola evocativa, come aria, ariano. Indoeuropeo mescola geografia e
cultura, e lascia fuori metà del mondo nel quale la sua trama s’intesseva:
Sumer, Accad, Babilonia, Ur, da dove viene Abramo, gli etruschi e i fenici, da
cui i greci ebbero l’alfabeto. Ma piacque.
Nazismo – Geist (spirito), Volk (popolo tedesco), Schicksal
(destino), e se non c’è più il Blut
(sangue) c’è sempre il Boden, che in Heidegger
è ben più che il sacro suolo della patria, è il Grund, il fondamento. Molto nazismo ancora è vivo: ha perso la
guerra ma non tutte le convinzioni.
Fu terribile, ma ha tematiche da strapaese,
accanto agli esoterismi. Nelle sue manifestazioni più elevate, come gli scritti
di Heidegger. Molto provinciale più che imperiale. O allora di imperialismo
provinciale, angusto – e per questo terribile, perché limitato?
Si leggono i “Quaderni neri” nella lettura
che ne fa da un anno Donatella Di Cesare, di un razzista a tutto tondo – dopo
peraltro essere stata al vertice della Fondazione Heidegger quando l’adesione
di Heidegger al nazismo, e anche il suo antisemitismo fossero da tempo acclarati,
nemmeno tanto dissimulati. Ma forse – bisognerà pure poterli leggere, questi
“Quaderni”, per la parte incriminata - Heidegger non era antisemita. Nazista, e
per questo antisemita, ma non di sentimenti personali. L’ultima riflessione
sulla sua opera, malgrado lo scandalo già avvenuto, di Richard Wolin,
“Heidegger’s Children”, i figli di Heidegger, è un riesame di quattro filosofi
ebrei, Arendt, Löwith, Jonas e Marcuse.
Novecento
-
Si è esaurito nell’umanismo, come vogliono i critici della “tecnica”? O anche:
il Novecento, assumendo l’umanismo integrale (la “tecnica”) ne ha messo in
mostra i limiti? Sul piano politico sì: una dialettica esasperata fra fascismo
e comunismo da una parte, l’umanismo integrale e il liberalismo dall’altra - la
versione debole – occupano e svuotano il secolo. Scalzati in fine dal ritorno
imperioso della teologia politica – vero e proprio refugium peccatorum. Ma senza esito. Non teorico e neppure – a
giudicare dalla crisi cronica che ha investito anche il Millennio politico.
Radici
–
Tornate in auge nel sentito comune per un paio di generazioni, si stanno rapidamente
dissolvendo. Non in favore del cosmopolitismo o apolidismo, ma nel
nazionalismo. Per una bizzarria (contraddizione) solo apparente: si agita un
nazionalismo scomposto, in forma di difesa, per evitare l’inevitabile pluralità
di innesti che si accompagna alle radici. Che raramente sono – non possono
esserlo logicamente – monoculturali.
Il loro
maggiore teorico si può dire Heidegger, l’uomo delle (piccole) patrie, e anzi
del focolare, tribale e paesano. Non familiare, curiosamente. Per la sua vicenda
personale forse, di un matrimonio subito aperto e con figli non propri. O per
una preclusione personale di cui la vicenda familiare sarebbe stata l’esito -
per inarrestabile narcisismo. Nel panorama desolato che introduce la tecnica,
di una spersonalizzazione che passa antitutto dallo spaesamento. La “luce”,
l’“illuminazione”, verrà, dopo la sconfitta del Terzo Reich, dalla Selva Nera,
dalla terra alemanno-sveva natale. Ma sapendo che la tecnica (modernità) ne
sradicherà le radici. “La questione della tecnica”, 1954, è piena di presagi pessimistici
in questo senso: elettronica, trasporti veloci, comunicazioni di massa mutano
la percezione del tempo e dello spazio, favoriscono l’ibridazione delle
culture, anche non volenti, movimentano masse umane in forma più o meno coatta
– fino alla “fine del pensiero nella forma della filosofia”. I calcolatori trasformano
“la tradizione in bisogno d’informazione”.
I
mutamenti Heidegger vede soprattutto nell’ottica dello spaesamento. Qui, e ancora
di più nell’“Abbandono” cinque anni dopo, 1959, vede segni e presagi di
spaesamento – limitatamente alla Germania: il suo “planetarismo” è grossdeutsch, tutto tedesco. Profughi del Grossreich, gli immigrati-emigrati dell’interno, la mobilità, o
sradicamento, la diaspora campagna-città,
la stessa curiosità o voracità d’informazione, tutto concorre a una
generale erranza o apolidismo. Che Heidegger condanna ma vede inevitabile.
Questo è l’“Abbandono”, in un orizzonte solo tedesco: “Molti sono i tedeschi
che non hanno più una patria, che anzi hanno dovuto abbandonare i loro villaggi
e le loro città, che vagano profughi lontano dalla terra che li ha generati.
Innumerevoli altri sono quelli che, pur avendo una patria, sono costretti
ugualmente a emigrare, finiscono nell’ingranaggio delle grandi città, debbono
stabilirsi negli squallidi suburbi industriali, sono ormai diventati estranei
alla terra che li ha generati. E questi tedeschi che ci vivono ancora? Spesso
sono da essa ancora più lontani di coloro che l’hanno lasciata. Ogni ora, ogni
giorno seguono incantati le trasmissioni della radio e della televisione…”.
La
radio-tv mezzo di disintegrazione e non di integrazione fa parte dell’arsenale
di Heidegger contro l’opinione pubblica, veicolo e forma della massificazione.
Ma è come dire che lo sradicamento è radicale, poiché si è arrivati a uno
scambio dei ruoli tra vicinanza e lontananza, a un’insignificanza degli stessi ruoli
nel generale spaesamento.
zeulig@antiit.eu
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