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lunedì 9 maggio 2016

Secondi pensieri - 261

zeulig

Adorno - È bizzarro che, nella disillusione e la rilettura di Heidegger alla luce dei “Quaderni Neri”, il suo nome non venga nemmeno menzionato. Che pure aveva anticipato queste riletture, già negli anni 1930, cioè subito, poi nella “Dialettica dell’illuminismo”, nei “Minima moralia” e nel “Gergo dell’autenticità”.

Deismo – È la fede (teoria) del signor Kirillov, “ingegnere costruttore dei più insigni”, nei “Demoni” di Dostoevskij, che al posto di Dio mette l’uomo.

Heidegger – “Cosa aveva il nazismo per attrarre uomini come Heidegger?”, la domanda di Remo Bodei (“Segni di distinzione”, introduzione a Adorno, “Gergo dell’autenticità”, 1998) è sempre inevasa. Ma ingenua: perché Hitler non avrebbe dovuto attrarre Heidegger?
L’osservazione di Adorno, “Il gergo dell’autenticità”, p. 8, è pertinente: “Il fascismo non fu semplicemente quella congiura che pure fu, ma sorse entro una forte tendenza di sviluppo sociale. Il linguaggio gli concede asilo; in esso la sventura, che ancora cova sotto le ceneri, si manifesta come se fosse la salvezza”. Le parate sono di parata, la guerra – il linguaggio – è il suo essere.

Una filosofia che si salva perché inafferrabile, ma molto sa di strapaese. “C’è storia quando l’aereo porta Hitler da Mussolini”, insegnava. Non quando Hitler incontra Mussolini, quando l’aereo ce lo porta – invece che il treno, o la carrozza a cavalli? Le sue stupidaggini in materia di “tecnica” sono innumerevoli perché radicate in un’ideologia della tecnica buona, che è quella della “vicinanza”, delle “origini”, del luogo natio e solitario, la Heimat (piccola patria, quasi domestica) e la Hütte (capanno, rifugio), con annesso agrarismo e montanarismo. Del piccolo nazionalismo, meglio se aggressivo: compatto, radicale, alla morte. Troppo spesso Heidegger evoca lo “Strapaese” parafascista, non solo nei discorsi d’occasione o giornalistici. Complicandolo ma al fondo sempre petty nazionalista: risentito

Indoeuropeo – La parola che il dottor Thomas Young, funzionario coloniale, partorì  e tenne a battesimo piacque perché dava l’idea della purezza bianca anche nella lingua? Dare un’idea di purezza alla “razza” in Europa, che è un trivio - sempre stata, non solo ora con l’immigrazione di massa. Una parola evocativa, come aria, ariano. Indoeuropeo mescola geografia e cultura, e lascia fuori metà del mondo nel quale la sua trama s’intesseva: Sumer, Accad, Babilonia, Ur, da dove viene Abramo, gli etruschi e i fenici, da cui i greci ebbero l’alfabeto. Ma piacque.

NazismoGeist (spirito), Volk (popolo tedesco), Schicksal (destino), e se non c’è più il Blut (sangue) c’è sempre il Boden, che in Heidegger è ben più che il sacro suolo della patria, è il Grund, il fondamento. Molto nazismo ancora è vivo: ha perso la guerra ma non tutte le convinzioni.  

Fu terribile, ma ha tematiche da strapaese, accanto agli esoterismi. Nelle sue manifestazioni più elevate, come gli scritti di Heidegger. Molto provinciale più che imperiale. O allora di imperialismo provinciale, angusto – e per questo terribile, perché limitato?

Si leggono i “Quaderni neri” nella lettura che ne fa da un anno Donatella Di Cesare, di un razzista a tutto tondo – dopo peraltro essere stata al vertice della Fondazione Heidegger quando l’adesione di Heidegger al nazismo, e anche il suo antisemitismo fossero da tempo acclarati, nemmeno tanto dissimulati. Ma forse – bisognerà pure poterli leggere, questi “Quaderni”, per la parte incriminata - Heidegger non era antisemita. Nazista, e per questo antisemita, ma non di sentimenti personali. L’ultima riflessione sulla sua opera, malgrado lo scandalo già avvenuto, di Richard Wolin, “Heidegger’s Children”, i figli di Heidegger, è un riesame di quattro filosofi ebrei, Arendt, Löwith, Jonas e Marcuse.

Novecento - Si è esaurito nell’umanismo, come vogliono i critici della “tecnica”? O anche: il Novecento, assumendo l’umanismo integrale (la “tecnica”) ne ha messo in mostra i limiti? Sul piano politico sì: una dialettica esasperata fra fascismo e comunismo da una parte, l’umanismo integrale e il liberalismo dall’altra - la versione debole – occupano e svuotano il secolo. Scalzati in fine dal ritorno imperioso della teologia politica – vero e proprio refugium peccatorum. Ma senza esito. Non teorico e neppure – a giudicare dalla crisi cronica che ha investito anche il Millennio  politico.

Radici – Tornate in auge nel sentito comune per un paio di generazioni, si stanno rapidamente dissolvendo. Non in favore del cosmopolitismo o apolidismo, ma nel nazionalismo. Per una bizzarria (contraddizione) solo apparente: si agita un nazionalismo scomposto, in forma di difesa, per evitare l’inevitabile pluralità di innesti che si accompagna alle radici. Che raramente sono – non possono esserlo logicamente – monoculturali.  
Il loro maggiore teorico si può dire Heidegger, l’uomo delle (piccole) patrie, e anzi del focolare, tribale e paesano. Non familiare, curiosamente. Per la sua vicenda personale forse, di un matrimonio subito aperto e con figli non propri. O per una preclusione personale di cui la vicenda familiare sarebbe stata l’esito - per inarrestabile narcisismo. Nel panorama desolato che introduce la tecnica, di una spersonalizzazione che passa antitutto dallo spaesamento. La “luce”, l’“illuminazione”, verrà, dopo la sconfitta del Terzo Reich, dalla Selva Nera, dalla terra alemanno-sveva natale. Ma sapendo che la tecnica (modernità) ne sradicherà le radici. “La questione della tecnica”, 1954, è piena di presagi pessimistici in questo senso: elettronica, trasporti veloci, comunicazioni di massa mutano la percezione del tempo e dello spazio, favoriscono l’ibridazione delle culture, anche non volenti, movimentano masse umane in forma più o meno coatta – fino alla “fine del pensiero nella forma della filosofia”. I calcolatori trasformano “la tradizione in bisogno d’informazione”.
I mutamenti Heidegger vede soprattutto nell’ottica dello spaesamento. Qui, e ancora di più nell’“Abbandono” cinque anni dopo, 1959, vede segni e presagi di spaesamento – limitatamente alla Germania: il suo “planetarismo” è grossdeutsch, tutto tedesco.  Profughi del Grossreich, gli immigrati-emigrati dell’interno, la mobilità, o sradicamento, la diaspora campagna-città, la stessa curiosità o voracità d’informazione, tutto concorre a una generale erranza o apolidismo. Che Heidegger condanna ma vede inevitabile. Questo è l’“Abbandono”, in un orizzonte solo tedesco: “Molti sono i tedeschi che non hanno più una patria, che anzi hanno dovuto abbandonare i loro villaggi e le loro città, che vagano profughi lontano dalla terra che li ha generati. Innumerevoli altri sono quelli che, pur avendo una patria, sono costretti ugualmente a emigrare, finiscono nell’ingranaggio delle grandi città, debbono stabilirsi negli squallidi suburbi industriali, sono ormai diventati estranei alla terra che li ha generati. E questi tedeschi che ci vivono ancora? Spesso sono da essa ancora più lontani di coloro che l’hanno lasciata. Ogni ora, ogni giorno seguono incantati le trasmissioni della radio e della televisione…”.
La radio-tv mezzo di disintegrazione e non di integrazione fa parte dell’arsenale di Heidegger contro l’opinione pubblica, veicolo e forma della massificazione. Ma è come dire che lo sradicamento è radicale, poiché si è arrivati a uno scambio dei ruoli tra vicinanza e lontananza, a un’insignificanza degli stessi ruoli nel generale spaesamento.

zeulig@antiit.eu 

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