“Signore, pensavo,
perché non ritorni da noi?”, prega alla fine il signor Bianchi il Signore dei
Vangeli. L’Ultima Cena fu una cena, non per nulla il Signore disse: “Prendete e
mangiate, questo è il mio corpo”. Perché si tratta di poter mangiare, in un’epoca
di proibizionismo. Il sesso è libero, e anzi imposto, tre volte al giorno, con
caffè e stuzzichini vari nel mezzo, in mancanza di meglio per autoerotismo, il
tabù è il cibo, il semolino domestico, la bistecca in appositi lupanari. Avviene in
un’epoca imprecisata, magari oggi, il signor Bianchi è uno di noi. Anzi
senz’altro oggi, nel racconto del titolo: solo a tabù rovesciati.
Sei prose
dell’ultima collettanea pubblicata di Bianciardi, postumo, che risale a
venticinque anni fa. Un autore poi dimenticato. Esemplari delle due chiavi
dello scrittore maremmano: l’irrisione, alla Boris Vian, sociale e insieme
surreale, e il paese.
Il protagonista del
primo racconto, che si chiama “il Chelli”, rimanda, involontariamente?, a Gaetano
Carlo Chelli, l’autore de “L’eredità Ferramonti”. Lo scrittore toscano che
traghettò nel secondo Ottocento il genere locale - fino a Pea, Viani, etc, anni
1930 - del bozzettismo. Verso le due punte di metà Novecento: Cassola,
compiaciuto, e Bianciardi, irriguardoso.
Riconosciuta la prima, benché fra contrasti, trascurata e dispersa la seconda.
In tono col personaggio, che peraltro ebbe vita creativa breve.
La chiave
prorompente è ironica. Il racconto del titolo mima il proibizionismo
alimentare, partendo dalla “fiorentina” da bisca, da casa chiusa. Non per
preveggenza – oggi il culto culinario si appaia a numerose interdizioni – ma
per un rovesciamento sarcastico: sesso libero, proibizionismo alimentare. Una
satira del permissivismo\proibizionismo. Sferzante col vizio intellettuale
delle mode, e con le mode stesse. Culmine il dibattito serale all’Umanitaria di
Milano, come sempre “promosso da Umberto Eco”, “a livello
marxiano-adorniano-weiliano”.
L’ultimo racconto,
“Il peripatetico”, è di un promotore della contraccezione, difensore della
legge Merlin, che è padre di quattro figli, di cui non si occupa, perché deve
“andare a puttane”. E ne fa l’inventario, in ogni sua forma. La parabola dell’uomo, si direbbe
oggi, della società civile.
Luciano Bianciardi,
La solita zuppa e altre storie, Il Sole
24 Ore, pp. 78 € 0,50
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