Letto il giorno del
volgarissimo Brexit, l’opuscolo di Carrère, che dovrebbe essere un reportage sulla “Giungla”, il campo per
migranti a Calais verso la Gran Bretagna, ma l’autore poi ci rinuncia, misura l’indigenza
dell’Europa più che l’invasione temuta dai nostalgici inglesi. Rinunciare è un
gesto di debolezza. Ma anche iniziare dicendo: “Vi sembrerà strano ma l’hotel
Meurice di Calais è nato prima del celebre albergo parigino”. Hotel? Meurice? E
non la Giungla dei settemila in attesa, preda dei facinorosi e farabutti, che nella
massa dei migranti non mancano: manodopera criminale, avanzi o evasi di galera.
Con un po’ di autoironia, sugli “inviati speciali” che rimestano nei soliti
caffè e ristoranti dove tutti vanno.
Ma anche qui senza infierire. Anche del Beau Marais, i quartieri di “urbanizzazione
prioritaria”, Carrère accenna a dire che sono violenti senza paragone con la
Giungla. E subito smette. Come dei calesiani: i pro e i contro i migranti sono
malintesi, non le insufficienze di un’informarzione e un’azione politica.
L’indigenza dell’Europa
è culturale. Malgrado tutto, il continente è ancora il più ricco del mondo –
piange miseria, che è diverso. La Giungla di Calais è d’altra parte ciò che ha
fatto vincere il Brexit: quale che sia il giudizio sul Brexit – ma è povera cosa,
da alzheimer incombente – i “siriani” della Giungla di Calais saranno stati il
detonatore. Settemila persone, non un esercito. Perlopiù in attesa di ricongiungimento
familiare, per le storture delle leggi europee.
Il problema dell’immigrazione
di massa è il degrado dell’opinione. Dei mediatori dell’opinione, dei
giornalisti. Oziosi e svogliati, troppo spesso ignoranti. E quando sono ispirati
accrescitivi: mostruosizzare, demonizzare, pro o contro. Uno storico futuro che
volesse documentarsi sui giornali su questo fenomeno degli anni 2010 troverebbe
poco o niente, nemmeno i numeri. Nulla sui trafficanti, in Africa, in Asia e in
Europa, sulle motivazioni, sulla stessa organizzazione del traffico, che è
organizzato, sui costi, economici (contanti, cessione di passaporti e altri
documenti, indebitamento – quanto e a favore di chi deve lavorare un migrante
per pagarsi il viaggio) oltre che umani.
Carrère indulge anche
alla solfa degli afroasiatici che preferiscono la Gran Bretagna alla Francia. Che
non si sa se è più stupidità o lazzo insolente (“che ce ne fotte a me degli
immigrati!”). Sottosezioni del tema: preferiscono la Francia all’Italia, e la
Germania alla Gran Bretagna.
Emmanuel
Carrère, A Calais, Adelphi, pp. 49 €
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