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sabato 4 giugno 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (288)

Giuseppe Leuzzi

Pino Aprile insiste: da un lustro, da “Terroni”, ha scoperto le tragedie dell’unità e non smette di denunciarle. Ora – “Carnefici” – parla di genocidio delle popolazioni meridionali. È la reazione del mite – non ce n’è più di Pino.
Il Sud è mite. Ha cattiva fama, ma è mite. Troppo. Per questo sbaglia quando s’arrabbia, sembra don Chisciotte.

Nell’ultimo Camilleri, “L’altro capo del filo”, Montalbano va al Nord come in terra incognita.  Un posto vicino Udine che s’inventa, Bellosguardo, ma remotissimo, confuso col ghiacciaio di Ötzi, al gelo, di lingua estranea. Vado “nella nebbia”, dice. Metaforico?

Severgnini, invitato sulla corazzata “Andrea Doria” a caccia di immigrati da salvare, scopre che alcuni ufficiali sono donne, e che quasi tutte sono donne del Sud. Che lo impressionano favorevolmente, con sua grande sorpresa. Questo  è il personaggio meno provinciale del “Corriere della sera”.

Corrado Zunino dice sulla “Repubblica” che la Calabria è la Colombia d’Italia, in fatto di cannabis. Specie nell’Aspromonte: “In Aspromonte si è creata una collaudata economia di scala”. Che non può essere vero: l’Aspromonte è una montagna molto frequentata, e nessuno vive di cannabis. Poi dà le cifre dei sequestri – che danno l’entità della produzione: irrisorie sul mercato. Ma dice una cosa giusta: “L’esplosione dei sequestri giudiziari del 2012 – oltre quattro milioni di piante – si è fortemente ridimensionata scendendo a 122 mila nel 2014 e collocandosi a quota 138 mila l’anno scorso”. Basta sradicare le piantagioni, che non sono inaccessibili.

Arrestateli tutti, subito!
Una proposta modesta non una modesta proposta. Seria insomma, benché non  conformista. Anzi  rivoluzionaria: prendere i mafiosi subito. Quelli che minacciano, perseguitano, rubano, sparano, incendiano, e trafficano droga e armi. Subito, appena cominciano, alla prima minaccia o pistolettata, in genere ai 17-18 anni. Quando sono anche spavaldi, non si nascondono e non si negano, e quindi sono sulla bocca di tutti. Che però non possono farsi giustizia da soli.
Si vogliono le mafie organizzate. E come tali ci vengono presentate, clan, famiglie, locali, ‘ndrine. Avvolte in una terminologia simbolica, rituale. E ordinate secondo statuti feudali, con divisioni territoriali e merceologiche. Non è vero, non è così. Siccome piace agli inquirenti, pazienza, ce lo facciamo piacere anche noi. Fatto sta però che, prima di congregarsi e giurare, i mafiosi sono conosciuti e indigesti a tutti, come canaglie.
Simboli e riti vengono elevati, nel caso della Calabria, a modelli elaborati di “giuramento” e di gerarchia. Con formule e modalità strambe (assurde). I mafiosi non ci tengono, figurarsi, e anzi ne ridono. Ma ci tengono i giudici, e quindi va bene così. I mafiosi che si conoscono se ne fregano delle immaginette e di Dio, processioni comprese. Ma sarà pure così: i giudici ci credono e noi pure.
Però. Se uno vuole soldi, un appalto, un posto, una qualsiasi soperchieria. E per questo minaccia, incendia, spara. Perché non si arresta subito? Perché non si intercetta subito, e subito dopo si rende innocuo? Perché il singolo, o l’amministratore pubblico, o il funzionario, privato o pubblico, che subisce una grassazione e la denuncia non viene protetto, con intercettazioni, pedinamenti, testimonianze incrociate, ma deve fare tutto da solo, denunciare, proteggersi e cercare le prove – che in Italia non può cercare, le intercettazioni sono proibite – delle violenze che subisce?
Lo stesso fuori dal Sud, dove i giudici stanno seminando ora le mafie.
Le mafie saranno oscure e gerarchizzate ma si manifestano, eccome, attraverso mafiosi in carne e ossa. Che obbediranno pure a oscure strategie e gerarchie, ma talvolta anche no. E sempre sono figuri identificati, per lo più giovinastri – come usava dire – irridenti. Più spesso che no nemmeno drogati: vogliono tutto e subito, sennò terrorizzano. Tutti lo sanno, i Carabinieri no.
Cioè, non è detto che non sappiano. I Carabinieri da tempo vivono in caserme recintate, invece che all’interno delle comunità che presidiano, come usavano. Comandati da ufficiali e sottufficiali giovani o giovanili, formati in apposite accademie e non più sul campo, nelle attività di indagine e contrasto. Che fanno un vangelo del “controllo del territorio” ma in questo senso: ragazzi in macchina senza patente, o in motorino senza casco, macchine non revisionate, e qualche assicurazione finta. Se li chiamate perché minacciati, vi guardano perplessi – indagatori?
Però, non è che non sappiano, perché in effetti producono bellissime monografie sulle famiglie mafiose. Con cronologie dettagliate di quanti e quali delitti hanno perpetrato. E tavole genealogiche plissettate, estese ai matrimoni e alle cuginanze di quarto grado. Con diramazioni in tutta Italia e all’estero - limitatamente alla Francia e all’Australia, dove le polizie locali fanno lo stesso (Usa, Canada e Sud America sono muti). In genere con patrimoni ingenti, per centinaia di milioni. Ma ne operano lo sradicamento quaranta o cinquant’anni dopo. Quando l’operazione è più difficile, i patrimoni illegali essendo ormai ramificati.
Le monografie quasi sempre sono precise, i Carabinieri hanno buoni informatori. Delle stesse famiglie mafiose, pentiti e non, oppure di famiglie rivali. Nonché decenni di intercettazioni. Forse per questo non intervengono prima, per poter compilare quelle ottime monografie. Ma è così, non intervenendo subito, che si è distrutto il Sud, il ceto intermedio o borghesia produttiva che lega l’economia e la società. Producendo la ricchezza e non bruciandola.
È così che la Repubblica delle monografie, di cui celebrano i settant’anni, sarà stata quella che ha moltiplicato le mafie, e le ha create dove non c’erano. Non per un difetto congenito, non è possibile – anche se “è roba della repubblica” è nei dialetti meridionali un free for all: chi può se ne approfitti.  Ma per non arrestare i delinquenti quando delinquono.
Non sarà che la Repubblica voglia alimentare un  saga meridionale all’insegna della violenza – tutte le saghe sono “poemi della forza” (Simone Weil)? Prima Cosa Nostra, poi la ‘Ndrangheta, ora Gomorra. Com’è on demand sui media e in tv. E quindi in un certo senso è provvida.
Oppure si può ipotizzare che li lasciano liberi, i Carabinieri, per recuperarli. Sono specialisti, i Carabinieri nella nuova veste, di recupero sociale. Poi, certo, se dopo una vita ancora perseverano, la giustizia interviene e fa il suo corso.
Ma, ogni tanto, arrestarne qualcuno non guasterebbe. Arrestarlo in flagrante. Anche per tenere in esercizio i Carabinieri.
Senza contare il grosso risparmio. Proprio contabile, di spesa pubblica: le monografie sono carissime. Nel senso del costo.

leuzzi@antiit.eu

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