Si cattura Fazzalari, secondo latitante più
pericoloso in Italia. È un successo o uno scacco delle forze dell’ordine? Si
cattura a casa sua.
“Potevamo
salvare Aldo Moro ma Gava ci fermò”. Lo dice in carcere il capo camorra
Raffaele Cutolo – in carcere dal 1979. Gli danno credito Bianconi, cronista
giudiziario principe del “Corriere della sera”, e lo stesso giornale, diretto
da Luciano Fontana, napoletano. Gava capo dei camorristi, come no.
“Era
pronta un’irruzione con uomini armati”, aggiunge don Raffaele, in astinenza da
giornali da tropo tempo. L’esercito della camorra, come no. Comandato dal
(futuro) ministro dell’Interno. La camorra al comando.
Nel Regno di Napoli o delle Due Sicilie,
negli anni pressanti dopo la rivoluzione francese, i giudici si prendevano pure
la difesa degli imputati, attesta Nico Perrone, “Il truglio”: “A fine di meglio
convergere nell’unica, risolutiva e suprema funzione di una repressione senza
appello, come si legge negli atti”. Avevano la funzione dei Procuratori della
Repubblica Italiana. Ma solo per due terzi: i Procuratori della Repubblica sono
infatti, oltre che accusatori e difensori, anche giudici.
Il “truglio” Nico Perrone dice istituzione
“peculiarmente meridionale, figlia del bisogno di accomodamento” che
caratterizzerebbe la vita e la cultura al Sud. Per ché meridionale - il truglio
è il patteggiamento, per ricconi?
L’importanza di
essere inglesi
Inghilterra-Islanda
1-2, con merito, non è male. Per un paese che ha appena scelto di alsciare
l’Europa perché indegna – è stata l’Inghilterra a volere l’exit, fra tutte le
componenti del Regno Unito. A opera della nazionale di una paese di
trecentomila abitanti, dove è notte e ghiaccio la metà dell’anno. La gloriola,
il bullismo, il campanilismo, l’orgoglio anche, a volte sono controproducenti:
quando non hanno una base solida – il calcio inglese, multinazionale per motivi
di business, che nulla ha a che vedere con l’atletismo, non ce l’ha. Lo stesso
la napoletanità, la sicilitudine, i primati, gli antenati: possono essere controproducenti,
agitazioni sul vuoto.
Ma
non è male neanche che un paese notte e ghiaccio riesca e tenere in forma una
squadra migliore degli inglesi. Che fa il paio col piccolo popolo di 300 mila
persone, abitanti di un’isola incoltivabile e inclemente, che riescono a
produrre 28 mila euro l’anno di reddito pro capite. Il doppio del reddito dl
Mezzogiorno d’Italia, area ubertosa quante altre mai, superdotata di bellezze
naturale e artistiche, che al giorno d’oggi sono una mininera. Chi ha il pane
non ha i denti?
Perché il Sud
non divenne Inghilterra
Perché
non possiamo fare un Exitalia? Abbiamo avuto i Normanni, anche noi come gli
inglesi. Per altrettanto tempo. Un po’ d’orgoglio ce ne dovrebbe essere
rimasto. E invece no, il Sud è inerte.
Abbiamo
imbastardito anche i Normanni? O i Normanni erano bastardi – bellicosi sì ma
predoni – e ci hanno imbastardito.
Viene
il dubbi leggendo il saggio di Giuseppe Galasso
“Normanni e prenormanni” nel suo libro “crociano”, di riconoscimenti e contestazioni
con Croce - “La memoria, la vita, i valori”.
Del
resto dei Normanni ci resta poco. Poco, purtroppo, feudalesimo. Quello che
viene chiamato spregiativamente feudalesimo al Sud è il fedecommesso, di padroni
remoti e assenti, anche non interessati, e sodali dei re di Napoli, remoti, non
loro antagonisti – erano in genere creditori insoddisfatti dei re. Ci restano
gli occhi cerulei, molto diffusi, da Foggia a Trapani, e molte fisionomie da
arazzo di Bayeux. Spersi su fondo arabo-saraceno – questo soprattutto, il fondo
ottomano è molto sottovalutato al Sud.
Galasso
qui concorda con Croce: i Normanni furono inefficaci al Sud per la differenza
di culture. Con un curioso rovesciamento: l’avanzamento colto del Sud Italia
gli nocque, la semibarbarie dell’Inghilterra le giovò. Il Sud era già “strutturato”,
diremmo oggi, l’Inghilterra no, e quindi si avvantaggiò molto dei Normanni.
“Guglielmo I si impadronì dell’Inghilterra con un paio di battaglie
campali e con un paio d’anni di campagne militari distruttive in alcune regioni”,
nota Galasso: “Nell’Italia meridionale e in Sicilia occorsero, invece, decenni
di azioni politiche e militari perché il dominio normanno vi si stabilisse”. Ma
di più ha pesato il fondo culturale: “Da una parte, il Mezzogiorno
pluriculturale e pluriconfessionale, legato alle due aree più fiorenti del
mondo medievale, quando l’Europa ancora appariva barbara e infedele, la
bizantina e la musulmana, con un frazionamento politico per cui vi si
distinguevano varie zone politiche rivali, ma anche in stretto contatto fra
loro; tutte partecipi di commerci di ampio raggio; con una forte presenza di
fenomeni cittadini importanti (e, in qualche caso, Palermo, di grande rilievo).
In un tale paese poco avevano i Normanni da insegnare e molto da apprendere,
come, infatti, avvenne. È stato detto da tempo che la loro «bella monarchia»
assimilò e utilizzò i criteri dell’amministrazione bizantina e musulmana. Il
geografo del re Ruggero era un musulmano, Edrisi. I mosaici di Monreale e di
altri luoghi celebri della Sicilia normanna sono di scuola bizantina e portano
iscrizioni in greco, oltre che in latino. E si potrebbe proseguire con questa
interazione mediterranea di cui si fa ancora grande merito al nipote di Ruggero
II, Federico II”.
Tutto l’opposto per l’Inghilterra: “Qui erano i
Normanni a poter giocare il ruolo di una aristocrazia colta e raffinata,
espressione di quella grande Francia che dal Mille fino a tutto il secolo XIII
fu al centro della vita, innanzitutto culturale, dell’Europa di allora. Poco o
nulla, rispetto a Sicilia e Mezzogiorno, il precedente mondo anglo-sassone
aveva da offrire ai conquistatori”.
Galasso tende peraltro a dare un pese eccessivo al
feudalesimo al Sud, introdotto dai Normanni: “Tutto sommato, il punto di
maggiore contatto fra le due esperienze rimane l’introduzione normanna del feudalesimo
in entrambi i Paesi (e non è un caso che ne siano rimasti in entrambi due
documenti fra i più importanti della storia europea di allora, il Catalogus baronum in Italia e il Domesday Book in Inghilterra, che danno
l’impressione di una maglia feudale più stretta e di un controllo regio più
forte in Inghilterra)”.
Più
interessante è il contrasto come Croce lo rilevava, nel passo della “Storia del
Regno di Napoli” che Galasso riporta criticandolo:
“È stato almanaccato più volte sul problema del come
mai il regno di Ruggiero e quello di Guglielmo il Conquistatore, fondati da
uomini della stessa razza, ordinati allo stesso modo, tenessero così diverso
cammino e avessero così diversa fortuna, splendida questo e misera l’altro: ma la
ragione è evidente, perché in Inghilterra i baroni adottarono presto fini
generali e difesero interessi di tutta la loro classe e poi di tutto il popolo
e questo chiamarono alleato nell’opera di mantenere bensì un potere regio, di
cui sentivano la necessità, ma di piegarlo e foggiarlo a uso della nazione».
Perciò, nonostante le diversità etniche «e il contrasto di conquistatori e
conquistati, si formò sin da allora una nazione inglese. Nella monarchia
normanno-sveva non accadde lo stesso: un popolo, una nazione non nacque, non ci
fu nemmeno un nome unico nel quale le varie popolazioni si riconoscessero come
subietto: siciliani, pugliesi, longobardi, napoletani erano tutti nomi
parziali; popolani e borghesi non fecero pesare la loro propria volontà, e i feudatari
solo in maniera individualistica e contraria allo Stato... Baroni e borghesi
rimasero come estranei alla politica dei loro sovrani; e non furono a fianco di
Federico e di Manfredi nella lotta contro i pontefici, come la Francia fu poi a
fianco di Filippo il Bello contro Bonifacio VIII. Invano tra i baroni
meridionali si cercherebbero figure che avessero qualche tratto della
religiosità, dell’austerità, del sentimento d’onore che si notano in un Simone
di Montfort, e che spiegano la fecondità delle agitazioni e ribellioni da
costui guidate, e ne fanno il martire di una causa nazionale. E dov’è poi,
nella agitata e folgorante storia della monarchia normanno-sveva, qualche
traccia di epica, di quell’epica che accompagna la coscienza del sorgere di un popolo?”.
I Normanni erano all’origine
predoni - benché Galasso li pregi della civiltà francese di corte che invece
era meridionale - e tali furono nel Meridione, benché molto copiassero. Che “alla politica e civiltà normanno-sveva fece
difetto il carattere indigeno e nazionale”, si vede per Croce anche dal fatto
che “i Normanni misero fine alla libertà delle città marinare e delle altre
città, specialmente pugliesi”, mentre «i re svevi, per la linea politica che
seguivano e per l’esperienza dell’indomabilità dei comuni settentrionali,
repressero con severissimo rigore ogni accenno di formazione comunale”.
Croce parla con commozione del Mezzogiorno pre-normanno, e dei
suoi “nuclei nazionali” presso i Longobardi o ad Amalfi, a Napoli, nelle città
pugliesi. “Una storia più modesta”, così Galasso sintetizza Croce, “ma più
propria, di cui i meridionali possono legittimamente vantarsi, laddove a torto
si gloriano delle imprese di Roberto il Guiscardo o di Ruggero II d’Altavilla o
di Federico II di Svevia, protagonisti, gloriosi bensì, ma di un’altra storia:
la storia delle loro dinastie e delle genti a cui appartenevano”.
leuzzi@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento