martedì 28 giugno 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (291)

Giuseppe Leuzzi

Si cattura Fazzalari, secondo latitante più pericoloso in Italia. È un successo o uno scacco delle forze dell’ordine? Si cattura a casa sua.

“Potevamo salvare Aldo Moro ma Gava ci fermò”. Lo dice in carcere il capo camorra Raffaele Cutolo – in carcere dal 1979. Gli danno credito Bianconi, cronista giudiziario principe del “Corriere della sera”, e lo stesso giornale, diretto da Luciano Fontana, napoletano. Gava capo dei camorristi, come no.

“Era pronta un’irruzione con uomini armati”, aggiunge don Raffaele, in astinenza da giornali da tropo tempo. L’esercito della camorra, come no. Comandato dal (futuro) ministro dell’Interno. La camorra al comando.

Nel Regno di Napoli o delle Due Sicilie, negli anni pressanti dopo la rivoluzione francese, i giudici si prendevano pure la difesa degli imputati, attesta Nico Perrone, “Il truglio”: “A fine di meglio convergere nell’unica, risolutiva e suprema funzione di una repressione senza appello, come si legge negli atti”. Avevano la funzione dei Procuratori della Repubblica Italiana. Ma solo per due terzi: i Procuratori della Repubblica sono infatti, oltre che accusatori e difensori, anche giudici.

Il “truglio” Nico Perrone dice istituzione “peculiarmente meridionale, figlia del bisogno di accomodamento” che caratterizzerebbe la vita e la cultura al Sud. Per ché meridionale - il truglio è il patteggiamento, per ricconi?

L’importanza di essere inglesi
Inghilterra-Islanda 1-2, con merito, non è male. Per un paese che ha appena scelto di alsciare l’Europa perché indegna – è stata l’Inghilterra a volere l’exit, fra tutte le componenti del Regno Unito. A opera della nazionale di una paese di trecentomila abitanti, dove è notte e ghiaccio la metà dell’anno. La gloriola, il bullismo, il campanilismo, l’orgoglio anche, a volte sono controproducenti: quando non hanno una base solida – il calcio inglese, multinazionale per motivi di business, che nulla ha a che vedere con l’atletismo, non ce l’ha. Lo stesso la napoletanità, la sicilitudine, i primati, gli antenati: possono essere controproducenti, agitazioni sul vuoto.
Ma non è male neanche che un paese notte e ghiaccio riesca e tenere in forma una squadra migliore degli inglesi. Che fa il paio col piccolo popolo di 300 mila persone, abitanti di un’isola incoltivabile e inclemente, che riescono a produrre 28 mila euro l’anno di reddito pro capite. Il doppio del reddito dl Mezzogiorno d’Italia, area ubertosa quante altre mai, superdotata di bellezze naturale e artistiche, che al giorno d’oggi sono una mininera. Chi ha il pane non ha i denti?

Perché il Sud non divenne Inghilterra
Perché non possiamo fare un Exitalia? Abbiamo avuto i Normanni, anche noi come gli inglesi. Per altrettanto tempo. Un po’ d’orgoglio ce ne dovrebbe essere rimasto. E invece no, il Sud è inerte.
Abbiamo imbastardito anche i Normanni? O i Normanni erano bastardi – bellicosi sì ma predoni – e ci hanno imbastardito.
Viene il dubbi leggendo il saggio di Giuseppe Galasso  “Normanni e prenormanni” nel suo libro “crociano”, di riconoscimenti e contestazioni con Croce - “La memoria, la vita, i valori”.
Del resto dei Normanni ci resta poco. Poco, purtroppo, feudalesimo. Quello che viene chiamato spregiativamente feudalesimo al Sud è il fedecommesso, di padroni remoti e assenti, anche non interessati, e sodali dei re di Napoli, remoti, non loro antagonisti – erano in genere creditori insoddisfatti dei re. Ci restano gli occhi cerulei, molto diffusi, da Foggia a Trapani, e molte fisionomie da arazzo di Bayeux. Spersi su fondo arabo-saraceno – questo soprattutto, il fondo ottomano è molto sottovalutato al Sud.
Galasso qui concorda con Croce: i Normanni furono inefficaci al Sud per la differenza di culture. Con un curioso rovesciamento: l’avanzamento colto del Sud Italia gli nocque, la semibarbarie dell’Inghilterra le giovò. Il Sud era già “strutturato”, diremmo oggi, l’Inghilterra no, e quindi si avvantaggiò molto dei Normanni.
Guglielmo I si impadronì dell’Inghilterra con un paio di battaglie campali e con un paio d’anni di campagne militari distruttive in alcune regioni”, nota Galasso: “Nell’Italia meridionale e in Sicilia occorsero, invece, decenni di azioni politiche e militari perché il dominio normanno vi si stabilisse”. Ma di più ha pesato il fondo culturale: “Da una parte, il Mezzogiorno pluriculturale e pluriconfessionale, legato alle due aree più fiorenti del mondo medievale, quando l’Europa ancora appariva barbara e infedele, la bizantina e la musulmana, con un frazionamento politico per cui vi si distinguevano varie zone politiche rivali, ma anche in stretto contatto fra loro; tutte partecipi di commerci di ampio raggio; con una forte presenza di fenomeni cittadini importanti (e, in qualche caso, Palermo, di grande rilievo). In un tale paese poco avevano i Normanni da insegnare e molto da apprendere, come, infatti, avvenne. È stato detto da tempo che la loro «bella monarchia» assimilò e utilizzò i criteri dell’amministrazione bizantina e musulmana. Il geografo del re Ruggero era un musulmano, Edrisi. I mosaici di Monreale e di altri luoghi celebri della Sicilia normanna sono di scuola bizantina e portano iscrizioni in greco, oltre che in latino. E si potrebbe proseguire con questa interazione mediterranea di cui si fa ancora grande merito al nipote di Ruggero II, Federico II”.
Tutto l’opposto per l’Inghilterra: “Qui erano i Normanni a poter giocare il ruolo di una aristocrazia colta e raffinata, espressione di quella grande Francia che dal Mille fino a tutto il secolo XIII fu al centro della vita, innanzitutto culturale, dell’Europa di allora. Poco o nulla, rispetto a Sicilia e Mezzogiorno, il precedente mondo anglo-sassone aveva da offrire ai conquistatori”.
Galasso tende peraltro a dare un pese eccessivo al feudalesimo al Sud, introdotto dai Normanni: “Tutto sommato, il punto di maggiore contatto fra le due esperienze rimane l’introduzione normanna del feudalesimo in entrambi i Paesi (e non è un caso che ne siano rimasti in entrambi due documenti fra i più importanti della storia europea di allora, il Catalogus baronum in Italia e il Domesday Book in Inghilterra, che danno l’impressione di una maglia feudale più stretta e di un controllo regio più forte in Inghilterra)”.
Più interessante è il contrasto come Croce lo rilevava, nel passo della “Storia del Regno di Napoli”  che Galasso riporta criticandolo: “È stato almanaccato più volte sul problema del come mai il regno di Ruggiero e quello di Guglielmo il Conquistatore, fondati da uomini della stessa razza, ordinati allo stesso modo, tenessero così diverso cammino e avessero così diversa fortuna, splendida questo e misera l’altro: ma la ragione è evidente, perché in Inghilterra i baroni adottarono presto fini generali e difesero interessi di tutta la loro classe e poi di tutto il popolo e questo chiamarono alleato nell’opera di mantenere bensì un potere regio, di cui sentivano la necessità, ma di piegarlo e foggiarlo a uso della nazione». Perciò, nonostante le diversità etniche «e il contrasto di conquistatori e conquistati, si formò sin da allora una nazione inglese. Nella monarchia normanno-sveva non accadde lo stesso: un popolo, una nazione non nacque, non ci fu nemmeno un nome unico nel quale le varie popolazioni si riconoscessero come subietto: siciliani, pugliesi, longobardi, napoletani erano tutti nomi parziali; popolani e borghesi non fecero pesare la loro propria volontà, e i feudatari solo in maniera individualistica e contraria allo Stato... Baroni e borghesi rimasero come estranei alla politica dei loro sovrani; e non furono a fianco di Federico e di Manfredi nella lotta contro i pontefici, come la Francia fu poi a fianco di Filippo il Bello contro Bonifacio VIII. Invano tra i baroni meridionali si cercherebbero figure che avessero qualche tratto della religiosità, dell’austerità, del sentimento d’onore che si notano in un Simone di Montfort, e che spiegano la fecondità delle agitazioni e ribellioni da costui guidate, e ne fanno il martire di una causa nazionale. E dov’è poi, nella agitata e folgorante storia della monarchia normanno-sveva, qualche traccia di epica, di quell’epica che accompagna la coscienza del sorgere di un popolo?”.
I Normanni erano all’origine predoni - benché Galasso li pregi della civiltà francese di corte che invece era meridionale - e tali furono nel Meridione, benché molto copiassero. Che “alla politica e civiltà normanno-sveva fece difetto il carattere indigeno e nazionale”, si vede per Croce anche dal fatto che “i Normanni misero fine alla libertà delle città marinare e delle altre città, specialmente pugliesi”, mentre «i re svevi, per la linea politica che seguivano e per l’esperienza dell’indomabilità dei comuni settentrionali, repressero con severissimo rigore ogni accenno di formazione comunale”.
Croce parla con commozione del Mezzogiorno pre-normanno, e dei suoi “nuclei nazionali” presso i Longobardi o ad Amalfi, a Napoli, nelle città pugliesi. “Una storia più modesta”, così Galasso sintetizza Croce, “ma più propria, di cui i meridionali possono legittimamente vantarsi, laddove a torto si gloriano delle imprese di Roberto il Guiscardo o di Ruggero II d’Altavilla o di Federico II di Svevia, protagonisti, gloriosi bensì, ma di un’altra storia: la storia delle loro dinastie e delle genti a cui appartenevano”.

leuzzi@antiit.eu

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