sabato 11 giugno 2016

Eurexit

Dieci punti di vantaggio per il Brexit nei sondaggi dicono che la partita è decisa. Poiché il voto britannico è calcolato più che passionale – da ultimo nel referendum sulla Scozia – c’è da chiedersi quali sono i vantaggi attesi. Senza faticare: è evidente che si punta a guadagnare i vantaggi dell’autonomia contabile (la “sovranità monetaria”) mantenendo quelli economici e politici maturati nella Ue.
È evidente che una qualche forma di collegamento dovrà essere negoziata. Non potrà essere punitiva, e quindi dovrà concedere molto. Ma un punto di equilibrio non sarà agevole: privilegiare la fuoriuscita è dare credito ai movimenti antieuropei, soprattutto in Francia. L’esito potrebbe essere anche un’implosione della stessa Ue. Per essere l’uscita volontaria, calcolata e non passionale, come quella che ha tenuto banco tra Grecia e Germania.
Non si arriverà a questo – la Francia, anche dei le Pen, guadagna molto con la Ue. Anche i paesi scandinavi di cui Londra dà per certa l’uscita, la Danimarca, la Svezia, che più risentono dell’intromissione tedesca, hanno troppo da perdere. Ma l’uscita di Londra non sarà un fatto come un altro, le minacce di Schaüble oggi sono assurde, da maestro di scuola.
Il Brexit è l’esito estremo dell’impolitica tedesca, dell’egemonia o semi-egemonia. Può darsi che si sarebbe prodotto ugualmente, ma si produce in chiave antitedesca. Merkel pensava di essersi comprata Londra privilegiandone i banchieri, ma ci sono ancora fattori diversi della politica.
Il Brexit è in realtà un Eurexit: montano i movimenti identitari. Forse confusi, ma sostanziosi. Anche se non organizzato, anche se non al coperto dell’Ukip di Farage e dei suoi ambigui messaggi, il 60 per cento dei consensi per l’uscita dalla Ue richiede una larga quota di conservatori e di laburisti: è una risposta identitaria che la Gran Bretagna si appresta a dare – la Gran Bretagna, non le isole Faroer.

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