Dieci punti di vantaggio per il Brexit nei
sondaggi dicono che la partita è decisa. Poiché il voto britannico è calcolato
più che passionale – da ultimo nel referendum sulla Scozia – c’è da chiedersi
quali sono i vantaggi attesi. Senza faticare: è evidente che si punta a
guadagnare i vantaggi dell’autonomia contabile (la “sovranità monetaria”) mantenendo
quelli economici e politici maturati nella Ue.
È evidente che una qualche forma di collegamento
dovrà essere negoziata. Non potrà essere punitiva, e quindi dovrà concedere
molto. Ma un punto di equilibrio non sarà agevole: privilegiare la fuoriuscita
è dare credito ai movimenti antieuropei, soprattutto in Francia. L’esito
potrebbe essere anche un’implosione della stessa Ue. Per essere l’uscita
volontaria, calcolata e non passionale, come quella che ha tenuto banco tra
Grecia e Germania.
Non si arriverà a questo – la Francia, anche
dei le Pen, guadagna molto con la Ue. Anche i paesi scandinavi di cui Londra dà
per certa l’uscita, la Danimarca, la Svezia, che più risentono
dell’intromissione tedesca, hanno troppo da perdere. Ma l’uscita di Londra non
sarà un fatto come un altro, le minacce di Schaüble oggi sono assurde, da
maestro di scuola.
Il Brexit è l’esito estremo dell’impolitica
tedesca, dell’egemonia o semi-egemonia. Può darsi che si sarebbe prodotto
ugualmente, ma si produce in chiave antitedesca. Merkel pensava di essersi
comprata Londra privilegiandone i banchieri, ma ci sono ancora fattori diversi
della politica.
Il Brexit è in realtà un Eurexit: montano i
movimenti identitari. Forse confusi, ma sostanziosi. Anche se non organizzato,
anche se non al coperto dell’Ukip di Farage e dei suoi ambigui messaggi, il 60
per cento dei consensi per l’uscita dalla Ue richiede una larga quota di
conservatori e di laburisti: è una risposta identitaria che la Gran Bretagna si
appresta a dare – la Gran Bretagna, non le isole Faroer.
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