La giudice Melitta Cavallo e la Corte di Cassazione
hanno adottato la stepchild adoption
che il Parlamento aveva bocciato. Non
molti anni dopo la decisione del Parlamento, poche settimane dopo.
Quindi non per adattare il diritto alle mutate condizioni
socio-conomiche-politiche ma per “libero convincimento” di giudice. Sempre più
i giudici usurpano l’attività normativa: bene o male che abbia fato il
Parlamento, è ad esso che compete la formulazione delle leggi, almeno in base
alla Costituzione.
La giudice Cavallo e i giudici della
Cassazione sono di Napoli e questo è un altro strano capitolo del diritto
italiano. Tutti i giudici, nei ranghi dirigenti, sono di Napoli o dintorni: la Corte
Costituzionale, il Csm, la Cassazione, i Tribunali, le Procure. Napoli dunque
si arroga, pur non avendone nessun
titolo specifico, quello di patria del diritto. Ma in senso deteriore.
Viene da Napoli, da Mario Pagano, fine
Settecento, il giudizio come “convinzione morale” del giudice. Non basato su
prove e verità dei fatti. Il diritto del “libero convincimento del giudice” si
vorrebbe filosofico e quasi teologico (Sciascia ci ha scritto sopra pensose
pagine, dal “Giorno della civetta” in poi, salvo ripensarci da ultimo in “Porte
aperte”), ma è nei fatti l’arbitrio del giudice, e la liberazione dall’obbligo
di studiare le carte e entrare nel caso.
A lungo la giustizia a Napoli è stata fatta
dagli avvocati, dai “paglietti”. Per questo sono state divisate e adottate procedure
non formalistiche, per disinnescare il pagliettismo. Ma la “convinzione del
giudice” e la “creazione del diritto” sono della stessa natura: roba avvocatizia.
Il legislatore romano, e quello napoleonico, avrebbero da ridire. La giustizia
del giudice non è “più” morale, è arbitrio
e neghittosità.
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