Si vorrebbe poter dire: la Germania siamo noi.
Come quando c’era la guerra fredda e tutti eravamo, pare perfino Berlinguer, “amerikani”. Felici
di essere sotto protezione, da parte di un Paese potente, e anche ricco, più di
ogni altro, che però rispettava (insomma, un po’, abbastanza) famigli e alleati. Fa bene stare al caldo - ora con l’afa, al fresco: insomma protetti. Con la Germania non si può, e la Germania sa perché: perché è rancorosa e,
nella parte migliore, gioca a rubamazzo.
È tutto qui il “dibbattito” sull’egemonia
tedesca, o semi-egemonia. Che è dibattuta solo in Germania, nessuna la
attribuisce alla Germania o gliela riconosce – ma la Germania non se ne cura:
conta solo su se stessa.
Si potevano fare affari con le multinazionali
americane, in Germania no. Si potevano perfino comprare aziende americane in
America, in Germania non si può - giusto roba decotta, in liquidazione. Si
poteva discutere a Washington, e qualche volta dire no, con Berlino non si può,
è antigermanesimo. .
Ci prova il “Corriere della sera”, giornale di
una città che si vuole tedesca, “aggrappata alle Alpi”,
“rigorosa”, “Francoforte sul Ticino”, a
santificare l’egemonia – la “semi-egemonia”, l’ipocrisia è ineliminabile nei
fatti di Germania - tedesca. E fa autogol. Danilo Taino spiegava ieri non richiesto
che l’Europa sopravvive solo per le cure di Angela Merkel e Schaüble. Oggi lo
stesso giornale non può non documentare come nessuna posizione di comando a
Bruxelles sfugga al monopolismo tedesco, in una puntuta ricognizione di Paolo
Valentino. A fianco di una pagina di Cazzullo col discusso Farage, il politico
britannico antieuropeista, al quale non si riesce a non dare ragione, da
europeisti – sul ruolo egemonico, senza meno, della Germania nella crisi, dell’economia
e dell’Europa.
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