sabato 11 giugno 2016

La Germania (non) siamo noi

Si vorrebbe poter dire: la Germania siamo noi. Come quando c’era la guerra fredda e tutti eravamo,  pare perfino Berlinguer, “amerikani”. Felici di essere sotto protezione, da parte di un Paese potente, e anche ricco, più di ogni altro, che però rispettava (insomma, un po’, abbastanza) famigli e alleati. Fa bene stare al caldo - ora con l’afa, al fresco: insomma protetti. Con la Germania non si può, e la Germania sa perché: perché è rancorosa e, nella parte migliore, gioca a rubamazzo.
È tutto qui il “dibbattito” sull’egemonia tedesca, o semi-egemonia. Che è dibattuta solo in Germania, nessuna la attribuisce alla Germania o gliela riconosce – ma la Germania non se ne cura: conta solo su se stessa.
Si potevano fare affari con le multinazionali americane, in Germania no. Si potevano perfino comprare aziende americane in America, in Germania non si può - giusto roba decotta, in liquidazione. Si poteva discutere a Washington, e qualche volta dire no, con Berlino non si può, è antigermanesimo. .
Ci prova il “Corriere della sera”, giornale di una città che si vuole tedesca, “aggrappata alle Alpi”,
“rigorosa”, “Francoforte sul Ticino”, a santificare l’egemonia – la “semi-egemonia”, l’ipocrisia è ineliminabile nei fatti di Germania - tedesca. E fa autogol. Danilo Taino spiegava ieri non richiesto che l’Europa sopravvive solo per le cure di Angela Merkel e Schaüble. Oggi lo stesso giornale non può non documentare come nessuna posizione di comando a Bruxelles sfugga al monopolismo tedesco, in una puntuta ricognizione di Paolo Valentino. A fianco di una pagina di Cazzullo col discusso Farage, il politico britannico antieuropeista, al quale non si riesce a non dare ragione, da europeisti – sul ruolo egemonico, senza meno, della Germania nella crisi, dell’economia e dell’Europa.

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