lunedì 6 giugno 2016

La scriteriata politica europea

Come la crisi peggiorò nel 2011, in un breve estratto da Giuseppe Leuzzi, “Gentile Germania, Robin, 2014, pp. 400 € 15:

“Il 18 ottobre 2010, sul lungomare di Deauville, Angela Merkel aveva imposto a Sarkozy, quindi all’Ue, il principio che “gli Stati possono fallire” - la Grecia, ma non solo. Era la ricetta Ackermann: non ristrutturare il debito (allungare le scadenze, tagliare gli interessi) ma farlo pagare con l’austerità, anche cruenta. A questo fine limitando gli aiuti Ue. Il capo della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, francese, reagì furioso: “Non vi rendete conto di cosa provocate”. Ma il suo presidente, lo statista emerito Sarkozy, lo mise a tacere.
“Al contempo, in una sorta di divisione del lavoro sporco, i consiglieri monetari di Angela Merkel impedivano alla Bce ogni intervento calmieratore, Axel Weber, Jürgen Stark, Jens Weidmann. Tre personaggi influenti, accreditati portavoce della migliore Germania, di saggeza incontestabile e potere decisivo. Anche se il curriculum di Weidmann si limita a una laurea, e ad alcuni anni di servizio nella segreteria di Angela Merkel. Alla svendita Btp della primavera 2011 seguì un’estate di comode incursioni sui “latini” sbandati. I fondi hedge favorirono l’offensiva allineandosi pronti. I fondi sovrani, pensione, d’investimento si adeguarono in automatico. Le vendite di Btp non si limitarono al ribasso (short) dei future, il mercato cash fu coinvolto, il giorno per giorno. In pochi mesi il future sul Btp si deprezzò del 22 per cento: da 110 sul nominale all’avvio delle vendite Deutsche, aprile 2011, quotazione sopravvalutata a motivo della solvibilità del debito, crollò a 87,5 a novembre. Mentre il Bund saliva dal 125 al 140 per cento del nominale. Il divario tra le due quotazioni è lo spread.
“Analogo attacco veniva sferrato contro la sterlina - una ripetizione della più redditizia speculazione del dopoguerra, quella del 1992 contro la sterlina e la lira. La Banca d’Inghilterra reagì comprando Gilt senza limiti, la più grande manovra di politica monetaria dalla crisi del ’33 – quantitative easing o stampa di moneta. D’intesa con la Federal Reserve, che anch’essa difese i Treasury Usa col quantitative easing. Con successo immediato, e senza accrescere di un decimale l’inflazione. Facendo anzi guadagnare il Tesoro Usa, cui la Fed riversò utili per 79 miliardi di dollari nel 2009 e per 77 miliardi nel 2011 – più degli interessi che il Tesoro aveva pagato alla Fed sui suoi titoli. Ciò che la Germania invece impedì alla Bce, facendo sbarramento con la Bundesbank, i suoi consiglieri Bce, e una politica accorta.
“L’Italia era “paragone della virtù di bilancio” a inizio 2011, a giudizio dell’Ocse. Che nel 2007-2010 ne rilevava un deficit di bilancio più basso rispetto agli altri paesi industriali. E migliorato nel quadriennio di 0,2 punti, dall’1,3 all’1,1 del pil, una volta “corretto dagli effetti del ciclo” (cioè dall’aumento dei tassi), rispetto agli Usa (- 4,9), all’Eurozona (- 1,9) e al Giappone (- 1,4)”.

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