L’attesa è sempre di oppressione, ma il dottore c’è
all’orario, le visite procedono secondo gli appuntamenti, una ogni quarto d’ora.
Vanno anzi più spedite, questa è l’impressione, si entra all’ora prevista
dell’appuntamento, anche prima, la sala d’attesa sembra vasta tanto è vuota,
con uno-due pazienti dell’altro dottore, che condivide lo studio, e chi si
limita a ordinare o ritirare una ricetta
L’attesa, ogni volta che bisogna ricorrere al dottore di
famiglia, è sempre di oppressione per un motivo: la tradizione è dura a morire.
La stanzetta dell’attesa strapiena, quasi fumosa, di gente in piedi e in
agitazione, vociante, rumorosa, di donne soprattutto che vanno di fretta e in
qualche modo vi passano davanti, per i buoni uffici di F., la segretaria tuttofare che
dirige il traffico. Che anche voi vi ha fatto venire di straforo, “tra un appuntamento
e l’altro”, ma inevitabilmente privilegia le conoscenze con cui ha confidenza,
per sesso, età e pratica sociale, di linguaggio se non di mestiere. Ma questo è
preistoria,
Ora sembra un altro mondo. I pazienti non siamo diminuiti.
“Oh no, siete sempre in tanti”, sorride la segretaria: “Il dottor ha il massimo
dei pazienti consentiti, purtroppo dobbiamo dirottare le nuove iscrizioni”.
Forse ci ammaliamo di meno? Compriamo meno medicine? Sarà la crisi: spendiamo
di meno, ci curiamo anche di meno. Il dottore non sembra convinto: “Le medicine
le ordino io, non è che le ordino in base alla crisi!” E azzarda: “È un problema
di linguaggio”.
Il dottore aveva ambizioni, mantiene gli interessi, gli
piace divagare col paziente, immagino con ognuno secondo la sua specialità. Il
fatto è semplice: F. era in età e andava sostituita. Al suo posto c’è ora, la
mattina, la moglie dell’altro dottore, la sera una studentessa di medicina. Due
persone che, per motivi diversi, hanno cognizione delle tipologie e le sigle degli
accertamenti diagnostici, nonché dei medicinali caratteristici: con loro si
parla breve. Possono così essere inflessibili sugli orari: hanno un’autorevolezza
che dà fiducia e libera la sala d’attesa dalle ansie, che si concentrano su
quella di passare per primi – è l’impazienza che trasforma le code in ingorghi.
Nessun commento:
Posta un commento