Il romanzesco c’è.
Non sembra, la vicenda è di un mal di denti e della ricerca di un dentista. O
dell’amore breve di un ingegnere di leva e un’indigena, sui toni del “mal d’Africa”.
Scritta in venti giorni, secondo la “mitologia flaianea” (Sergio Pautasso), su
pressione di Leo Longanesi, per vincere lo Strega 1947. Invece si rilegge come un
quasi capolavoro, come ogni cosa del dispersivo battutista.
È il quadro di una
gioventù senza spessore, quella dei ventenni degli anni 1930, che nemmeno in
Africa e nemmeno in guerra esce dal torpore: non si entusiasma, e non si
ribella, non chiede perché non ha interesse a capire. E probabilmente ha
ragione Spadolini, in un ricordo di Flaiano su “La Stampa” il 26 agosto 1986, a
dirlo “l’unico libro d’autore” di Flaiano, se non altro perché l’unico da lui “licenziato
come opera definitiva, ne varietur”.
Originale anche la
lettura dell’Africa. Niente in realtà da spartire col “mal d’Africa”, cioè
godersi le indigene remissive, alla Montanelli. O meglio sì: lei è una Mariam
tra le tante - “(tutte si chiamano Mariam, quaggiù)” - e le “ragazze indigene”
sono “semplici come colombe, dolci, disinteressate, incluse nella natura; non
restava che coglierle”. Ma è la critica del “mal d’Africa”, di commilitoni e
compatrioti che vivono l’Africa come “lo sgabuzzino delle porcherie”. Questa
Mariam fra le tante è per l’autore-milite molto più che un nome e un oggetto.
Di “profonda bellezza nel sonno”, che dorme come l’Africa: “Dormiva, proprio
come l’Africa, il sonno caldo e greve della decadenza, il sonno dei grandi
imperi mancati che non sorgeranno finché il «signore» non sarà sfinito dalla
sua stessa immaginazione”.
Il colonialismo, una
storia ora trascurata, raramente è stato definito con tanto spessore. Non dai
Montanelli o Malaparte, che la stessa guerra di Flaiano avevano fatto come
osservatori speciali. L’Africa è anche la paura , la paura della lebbra. E la
libertà di uccidere, ma in colpa: “L’imperialismo, come la lebbra, si cura con
la morte”.
“Ciao Africa” è il
saluto del giovane di leva che rientra.
Ennio Flaiano, Tempo di uccidere, Bur, pp. 312 € 10,50
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