Non c’è dubbio, vivendo tra Milano e Roma, che
Roma non è amministrata bene, ma è meglio amministrata di Milano. Pur essendo
una città tropo complessa rispetto a Milano, anzi di complessità unica al
mondo: religiosa e politica, amministrativa, industriale, d’arte, turistica. È più
pulita, più decorosa, ha un buon sistema scolastico, ottimo per le materne, una
buona sanità, e ha parcheggi, se non un trasporto pubblico adeguato.
Non c’è però dubbio che ha fama di volgarità.
Di corruzione. Che è diffusa, ed è anche tradizionale. Fino a non molti anni fa si
pagava una mancia pure per avere l’allacciamento della luce o del telefono, all’uomo
della Stet, dell’Acea o della Romana Gas. Ma non c’è corruttela. E anzi c’è abbastanza
sdegno per portare a galla le situazioni di degrado morale. Nulla al confronto,
facendo le somme, con la grande corruzione di altre città, Milano soprattutto,
Venezia, Torino, Genova, sugli appalti pubblici. È una corruzione focalizzata
sul cosiddetto terzo settore, o del “volontariato”, cioè sull’appalto privato
dei servizi pubblici. Che riguarda Roma come tutta Italia: il terzo settore va
rigovernato, non da ora, da quando si è messo a crescere gigante, nato una
ventina d’anni fa.
Da che deriva la pessima fama di Roma? Dal suo
giornalismo. Effettivamente corrotto – di un interesse contro l’altro. Oppure
no, solo scadente: sa solo fare la predica - se non denuncia qualcuno, sia pure
un sacrestano che ruba le elemosine, o un ambulante senza licenza, non sa fare
altro. Si vedano al confronto le cronache degli stessi giornali di Palermo, per
esempio, rispetto a quelle romane, o di Firenze. Una stampa scandalistica, che
altrove è separata da quella d’informazione e in Italia invece la domina.
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