Alice –
Personaggio e racconto metafisico? Camilleri, grande lettore da bambino, l’ha
vista sempre di un altro mondo: “Il romanzo di Carroll non è neppure un romanzo,
è un trattato di metafisica”.
E non un
racconto, dunque, fiabesco: un romanzo. Anche questa è da vedere.
Giornalista-scrittore – Figura contestata (“pubblicate solo romanzi di
giornalisti”, lamentano gli editori tedeschi alle fiere), ma, si può dire,
tradizionale. Dacché esiste il giornalismo, che si può riportare
all’Enciclopedia, a Diderot su tutti. Incluso Voltaire, che scrisse molto sui
casi del giorno, i libri, i personaggi. Vi si esercitò Stendhal, con varie
corrispondenze, culturali e di viaggio. Poi Nerval, Baudelaire con costanza,
Zola e tutti gli altri, fino a Proust. Ora Houellebecq, dopo gli eponimi
contemporanei del genere, Camus e Sartre.
È
tradizione francese. Più spesso elevata a esercizio filosofico – il genere che ora
pratica il francesista Scalfari: da Diderot e Voltaire a Camus e Sartre, appunto,
e ai “nuovi filosofi”, fino a Houellebecq. Dostoevskij, Tolsòj, Thomas Mann,
che pure soffrirono molto dell’attualità e l’hanno in vario modo romanzata, non
hanno fatto i giornalisti. Né gli americani, che pure sono scrittori che tipicamente
vivono del mercato: il mercato è talmente ampio che consente loro di vivere
come scrittori, dei diritti d’autore, senza il bisogno alimentare di fare
giornalismo.
Ma più
che di mercato, è un fatto di passione politica. Del fatto pubblico vissuto
come passione, personale, alta. È il caso dell’Inghilterra, di uno scrittore
come Orwell. Non degli anglo-indiani. Sì degli anglo-africani, e anglo-caraibici:
i neri vivono l’inglese come arma di combattimento.
Goethe – Si
celebrano i duecento anni del “Viaggio in Italia”, libro ripensato, pubblicato a
trent’anni dal viaggio vero, intrapreso nel 1786 alla soglia dei quarant’anni, e
tuttavia sempre fresco: “giovanile”, come di scoperta. Perché non è tanto una
guida, ma la fioritura giovanile, benché tardiva, di una personalità O della personalità
come scelta (formazione).
Guerra –
Quindici “grandi opere” del “Corriere della sera” sulla grande guerra, da Lussu
a Jünger, senza il più sincero e veritiero, a suo modo nuovo anche, di tutti,
il Corrado Tumiati di “Zaino di sanità”. Un medico scrittore che fu tra l’altro
apprezzato collaboratore e dirigente del “Corriere della sera”.
Riedita
cinque anni fa dall’editore Gaspari di Udine,
la raccolta è un piccolo capolavoro e quasi un inedito: del genere la
guerra come non l’avete mai vista.
Manca
pure Hemingway, la sconcertante cronaca di Caporetto. La guerra si vuole già
celebrata, mentre c’è tanto ancora da (ri)scoprire: la sua ordinaria crudeltà.
Soprattutto degli ufficiali superiori e generali.
Rifiuto –
Si fa grande caso dell’integrale della
lettera di rifiuto di T.S.Eliot a George Orwell per “La fattoria degli animali”,
messa in rete dalla British Library e ripresa dal “Guardian”. Un inno di
gloria: “Qualcosa in cui pochissimi autori sono riusciti dopo Gulliver”. Il
rifiuto, il 13 luglio 1944, era motivato dall’opportunità di non insolentire un
alleato nella guerra contro Hitler nel momento decisivo. Tanto più, aggiungeva Eliot
sornione, che “i tuoi animali sono molto più intelligenti degli altri animali,
e quindi i più qualificati a gestire la Fattoria – di fato, non ci potrebbe
essere stata nessuna Fattoria degli Animali senza di loro”.
E che c’è
da obiettare al rifiuto di Virginia Woolf – altra pubblicazione della British
Library - del primo “Ulisse” di Joyce perché “troppo lungo”? Benché fosse meno
della metà dell’“Ulisse definitivo.
Il
rifiuto redazionale che dovrebbe fare statistica è quello anonimo, come è
l’uso. Quello
motivato è sempre positivo: un segno di rispetto..
Scrivere –
Divide più che unire, e anzi isola. Un tempo gli scrittori si conoscevano e gradivano
frequentarsi, entusiasti o critici che fossero. Non un tempo remoto, ancora negli
anni 1969, 1970, se ne incontravano tavolate ai caffè in piazza Navona o piazza
del Pantheon a Roma. Ora, probabilmente, nessuno legge più, non le opere dei
conoscenti, e tutti si evitano, quando non si demoliscono. Eccetto le compagnie
di scuola, di scrittura. Forzatamente piccole, e come in ogni scuola imbevute
di preconcetti – falsi teoremi.
La pratica
veniva allora risentita come elitistica, e anzi di (piccolo) potere. Ma
comunicava, anche a chi ne era escluso, un senso di identità. Di cui ora, dopo
che si è voluto dissolverla, è forte la mancanza – la congrega degli idraulici
si sentirà più al coperto, se non altro dal mestiere?
Shakespeare – È il primo, uno dei primi,
autori à la page, al gusto del
pubblico. Scrive i nove drammi storici, di seguito e in fretta, con contributi
anche di coautori, nei patriottici anni 1590. Sugli eroici sovrani del Tre-Quatroceno:
Eduardo III, tra Scozia e Francia a metà Trecento, il principe Nero figlio di
Edoardo III, Riccardo II, fratello minore del Principe Nero, vittima della
congiura dei nobili a fine Trecento, Enrico
IV, l’usurpatore di Riccardo II, tra i rimorsi e il progetto di penitenza in
Terrasanta, Enrico V, il conquistatore della Francia a Azincourt, Enrico VI, il
successore, sfidato da Giovanna d’Arco. Inframezzati da commedie giocose, come
è ancora l’uso nelle stagioni teatrali.
Si faceva
teatro in Inghilterra allora come l’industria del cinema a Hollywood, con attenzione
al pubblico.
Nella
terza decade, forse con l’età, a partire da “Amleto”, 1600, i grandi temi quasi
metafisici: “Otello”, “Lear”, “Macbeth”, infine “La tempesta”. E la storia classica
rivisitata: “Antonio e Cleopatra, “Coriolano”, “Timone”, “Pericle”.
Sherlock Holmes – È calco, se non copia, di Dupin, è noto. Watson, si po’
aggiungere, è Poe stesso, che si finge coinquilino di Dupin, e quindi lo
controlla senza tutti le spiegazioni cui deve riscorrere l’amico assente-onnipresente
di Sherlock. In più, Sherlock Holmes ha il vezzo Fine Secolo delle droghe. Ma
ne è tutto un remake: le
eccentricità, che in Poe erano personali e anche caratteriali, in Conan Doyle
sono un modo d’essere quasi ininfluente. Le paure idem. C’è l’affettazione della
copia.
Identico
il meccanismo cerebrale, induttivo-deduttivo. Un codice che Umberto Eco ha
tentato più volte e a lungo di decrittare ma non ha decifrato, anzi ha
agghiommerato. Baudelaire ne sapeva di più, che disse Dupin “congetturale e
probabilistico”. Più adatto all’inafferrabile stocastica che alla semiologia, o
allora a una di invenzione.
Però è
personaggio immortale, mentre Dupin è per lettori particolari. Il personaggio
immortale è stato creato da Conan Doyle. Un medico di scarso occhio clinico,
uno che finirà per vedere i fantasmi, dopo una vita di corrispondente stolido
dei quotidiani, per cause anche onorevoli, qualche volta.
letterautore@antiit.eu
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