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venerdì 10 giugno 2016

Letture - 261

letterautore

Casaubon – Il personaggio di tante storie di Umberto Eco e Luciano Canfora è il personaggio di “Middlemarch”, il romanzone 1871-72 di “George Eliot”, Marie Ann Evans: è lo studioso che non completa l’opera.

Ciaone  - Scandalo per  tweet dell’onorevole Carbone, dopo il referendum sulle trivelle. La rete cinguetta, s’indigna, s’infuria – con caratteristica prosopopea civile imputando all’onorevole non di essere giovane e spiritoso, ma un calabrese, uno di Cosenza, pussa via, e tutto il puzzismo della rete becera. Senza mai dire – sapere? – che “Ciaone” è tormentone di Caterina Guzzanti nel film “Confusi e felici” di Massimiliano Bruno, 2014.Nonch di Emma Marrone.
Francesca Bonfiglioli
ritrova la parola del resto nella Treccani, e nell’uso lucano – dell’unica Regione cioè che ha votato sì al referendum sulle trivelle. E forse ha origini rom, per dire ragazzo, figlio, bambino. O in dialetto siciliano per dire un Giufà, un po’ spaccone un po’ scemo.
Insomma, il mondo è vario. Ma l’indignazione vuole ignoranza.

Critica - “Fuocoammare” premiato dalla stampa Estera, dopo Berlino. Senza avere avuto nemmeno una menzione ai David di Donatello. È effettivamente un bel film, memorabile per molte scene. Non è stato premiato dagli Oscar italiani perché non è commerciale – niente star, niente soggetto?  Ma gli Oscar, seppure italiani, non sono premi della critica? O sono della Rai, e di Berlusconi? Un anno l’uno un anno l’altro, o com’è la proporzione, due Rai e un Berlusconi, o viceversa? Si va al cinema al buio.

Omosessualità – “Sodoma e Gomorra” si pubblicò nel 1921 senza scandalo. È vero che Proust ne faceva un brutto ritratto.

Proust – Non si direbbe, ma nell’opera ci sono molte tracce – e nella vita sono univoche: è il risentimento che lo muove. Personaggio amabile, perfino sdolcinato, e tuttavia cattivo. Contro gli amati suoi per primi, la diletta maman per prima, per primissima. Sulle cui foto sputava – e creava personaggi che sputavano. L’incredibile malagestione del patrimonio ereditato solo si spiega col disprezzo-dispetto: l’equivalente di sei milioni di euro con una rendita mensile di 15 mila euro, che  pochi anni dopo la morte della madre legataria era ridotta della metà, e non gli bastava. Improvvidente con gli amati, che più spesso non erano amanti, ma strapagava e surregalava, Agostinelli, Rochat. Anche quando avrebbe voluto solo buttarli fuori di casa. S’incaponiva in investimenti sbagliati a dispetto del banchiere di fiducia che era quello deal madre, nonché del fratello di lei, l’amato zio Weil, e della di lui vedova. I mobili di famiglia donati al bordello gay, o i vestiti del padre al fratello di Agostinelli, non hanno altra spiegazione.
Per cattiva coscienza? È possibile. Visse l’omossessualità come una vergogna: sfidava a duello che ve lo avvicinava pubblicamente.Gide, che andava a trovarlo sul letto di morte, segnava sconcertato nel suo “Diario” la furiosa repulsione dell’omosessualità.
Robert de Montesquiou, che non era così ridicolo come Charlus, di cui Proust lo disse modello, ed era cugino della contessa di Greffhule, modello principale della duchessa di Guermantes, lo ricorderà senza cattiveria nelle memorie lasciate morendo, un anno prima di Proust: ne dava per scontata l’insolenza.

Dickensiano? “Tra Dickens e Henry James” ne definisce la scrittura Edmund White, il romanziere e letterato di Princeton. In effetti, i suoi personaggi sono grandi eccentrici alla maniera di Dickens, fuori misura. A differenza di Dickens li costruiva su dei modelli reali, e quasi a chiave. Ma i referenti erano ancora più fuori norma. Laure Haymann-Odette era la mantenuta di un’enormità di personaggi,  inclusi lo zio Weil e il proprio padre di Proust. Il barone Charlus, per quanto esagerato, era una pallida copia di quanto si viveva nel “suo” bordello, quello reale che Proust frequentava – che Benjamin e Maurice Sachs visitarono nel 1930 e dei cui riti e utensili un paio d’anni fa fu fatta una mostra. Fuori scala anche, per avidità e sguaiataggine, i referenti di “La prigioniera” e “La fuggitiva”. O per ingenuità i tanti ragazzi che si sono fatti riconoscere modelli delle “fanciulle in fiore”.

Ristagno  - Secondo Marinetti è dovuto alla pasta: la causa del ristagno dell’Italia, già nel 1930, è l’abuso dei “cibi passeisti” della “cucina museo”, tra essi in primo luogo gli spaghetti. Ben italiani, poiché il consumo ne è attestato in Sicilia e altrove ben prima del viaggio di Marco Polo in Cina. Ma infetti.
Marinetti organizzò per questo un convegno-cena il 15 novembre 1930 ala Penna d’Oca a Milano, con lo stato maggiore futurista: Depero, Prampolini e altri. E reiterò due settimane più tardi sulla “Gazzetta del popolo” di Torino con un “Manifesto della cucina futurista”, all’insegna di Feuerbach: “Noi affermiamo questa verità: si pensa, si sogna e si agisce in funzione di ciò che si beve e di ciò che si mangia”.
Una presa di posizione “rivoluzionaria”, commenta Giovanni Lista nelle sue due grandi raccolte in francese, “Qu’est-ce que le futurisme?” e “Le Futurisme. Textes et Manifeste”, in quanto successiva alla “battaglia del grano” di Mussolini, con peana autografo incorniciato nei luoghi pubblici, “cuore della casa italiana, profumo della tavola del lavoratore, gioia del focolare”.

Romanziere-intellettuale – Negli Usa non se ne trovano, nota Camus nei “Taccuini”. In Europa, invece, si può dire figura obbligatoria. Dai grandi russi a George Eliot, ai francesi, fino a Proust, lo stesso Gide, Malraux, Camus naturalmente e Sartre, Mauriac, e ora Huellebecq, e ai grandi tedeschi, Thomas Mann, Böll, Grass, Jünger. In Italia si direbbe di no, malgrado il neo realismo – perfino Pasolini ne è più esente che condizionato, pur essendo “intellettuale” di professione, quotidiano: nelle rubriche giornalistiche e in poesia sì, al cinema e nei racconti se ne esime.  

Scuola di scrittura – Si sfogliano con sgomento i manuali di scrittura delle scuole di scrittura, con exempla tutti di nessun richiamo, forse per voler essere elementari. Al limite del balordo, perfino insensato. Come un’alfabetizzazione di recupero, per adulti con problemi.
L’efficacia delle scuole sarà che la retta assicura uno o più lettori obbligati, gli insegnanti. E che gli stessi sono il relais tra le redazioni editoriali e le redazioni giornalistiche – redattori e giornalisti partecipando all’agape delle scuole, retributiva in status se non in soldi. La pubblicazione del primo romanzo, e anche di un secondo, è così assicurata e dovutamente segnalata. Per cinque-diecimila euro di spesa – per il master naturalmente: c’è scuola senza master

Selfie – Si cita Virginia Woolf per la distinzione che ritiene necessaria tra arte e confessione. Ma questa intendeva come esibizione di sé. Mentre proprio lei è oggetto di molti studi tra le righe, come se fosse una dissimulatrice, magari non di proposito Ne fa la curiosa summa Cesare Catà, “Le pagine, le ore, le falene. Dissimulazione e confessione del Sé nei diari e nei romanzi di Virginia Woolf”, in “Lo Sguardo – rivista di filosofia”.

letterautore@antiit.eu 

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