Casaubon – Il personaggio di tante storie di Umberto Eco e Luciano Canfora
è il personaggio di “Middlemarch”, il romanzone 1871-72 di “George Eliot”, Marie
Ann Evans: è lo studioso che non completa l’opera.
Ciaone - Scandalo per tweet dell’onorevole Carbone, dopo il
referendum sulle trivelle. La rete cinguetta, s’indigna, s’infuria – con caratteristica
prosopopea civile imputando all’onorevole non di essere giovane e spiritoso, ma
un calabrese, uno di Cosenza, pussa via, e tutto il puzzismo della rete becera.
Senza mai dire – sapere? – che “Ciaone” è tormentone di Caterina Guzzanti nel
film “Confusi e felici” di Massimiliano Bruno, 2014.Nonch di Emma Marrone.
Francesca Bonfiglioli
ritrova la parola del resto nella Treccani, e nell’uso lucano –
dell’unica Regione cioè che ha votato sì al referendum sulle trivelle. E forse
ha origini rom, per dire ragazzo, figlio, bambino. O in dialetto siciliano per
dire un Giufà, un po’ spaccone un po’ scemo.
Insomma, il mondo è vario. Ma l’indignazione vuole ignoranza.
Critica -
“Fuocoammare” premiato dalla stampa Estera, dopo Berlino. Senza avere avuto
nemmeno una menzione ai David di Donatello. È effettivamente un bel film,
memorabile per molte scene. Non è stato premiato dagli Oscar italiani perché non
è commerciale – niente star, niente soggetto?
Ma gli Oscar, seppure italiani, non sono premi della critica? O sono
della Rai, e di Berlusconi? Un anno l’uno un anno l’altro, o com’è la
proporzione, due Rai e un Berlusconi, o viceversa? Si va al cinema al buio.
Omosessualità – “Sodoma e Gomorra” si pubblicò nel 1921 senza scandalo. È vero
che Proust ne faceva un brutto ritratto.
Proust – Non si direbbe, ma nell’opera ci sono molte tracce – e nella
vita sono univoche: è il risentimento che lo muove. Personaggio amabile, perfino
sdolcinato, e tuttavia cattivo. Contro gli amati suoi per primi, la diletta maman per prima, per primissima. Sulle
cui foto sputava – e creava personaggi che sputavano. L’incredibile malagestione
del patrimonio ereditato solo si spiega col disprezzo-dispetto: l’equivalente
di sei milioni di euro con una rendita mensile di 15 mila euro, che pochi anni dopo la morte della madre legataria
era ridotta della metà, e non gli bastava. Improvvidente con gli amati, che più
spesso non erano amanti, ma strapagava e surregalava, Agostinelli, Rochat.
Anche quando avrebbe voluto solo buttarli fuori di casa. S’incaponiva in
investimenti sbagliati a dispetto del banchiere di fiducia che era quello deal
madre, nonché del fratello di lei, l’amato zio Weil, e della di lui vedova. I
mobili di famiglia donati al bordello gay, o i vestiti del padre al fratello di
Agostinelli, non hanno altra spiegazione.
Per cattiva coscienza? È possibile. Visse l’omossessualità come
una vergogna: sfidava a duello che ve lo avvicinava pubblicamente. Gide, che andava a trovarlo sul letto di morte, segnava
sconcertato nel suo “Diario” la furiosa repulsione dell’omosessualità.
Robert de Montesquiou, che non era così ridicolo come Charlus, di
cui Proust lo disse modello, ed era cugino della contessa di Greffhule, modello
principale della duchessa di Guermantes, lo ricorderà senza cattiveria nelle
memorie lasciate morendo, un anno prima di Proust: ne dava per scontata
l’insolenza.
Dickensiano? “Tra Dickens e Henry James” ne definisce la scrittura
Edmund White, il romanziere e letterato di Princeton. In effetti, i suoi
personaggi sono grandi eccentrici alla maniera di Dickens, fuori misura. A
differenza di Dickens li costruiva su dei modelli reali, e quasi a chiave. Ma i
referenti erano ancora più fuori norma. Laure Haymann-Odette era la mantenuta
di un’enormità di personaggi, inclusi lo
zio Weil e il proprio padre di Proust. Il barone Charlus, per quanto esagerato,
era una pallida copia di quanto si viveva nel “suo” bordello, quello reale che
Proust frequentava – che Benjamin e Maurice Sachs visitarono nel 1930 e dei cui
riti e utensili un paio d’anni fa fu fatta una mostra. Fuori scala anche, per
avidità e sguaiataggine, i referenti di “La prigioniera” e “La fuggitiva”. O
per ingenuità i tanti ragazzi che si sono fatti riconoscere modelli delle “fanciulle
in fiore”.
Ristagno - Secondo Marinetti è
dovuto alla pasta: la causa del ristagno dell’Italia, già nel 1930, è l’abuso dei
“cibi passeisti” della “cucina museo”, tra essi in primo luogo gli spaghetti.
Ben italiani, poiché il consumo ne è attestato in Sicilia e altrove ben prima
del viaggio di Marco Polo in Cina. Ma infetti.
Marinetti organizzò per questo un convegno-cena il 15 novembre
1930 ala Penna d’Oca a Milano, con lo stato maggiore futurista: Depero,
Prampolini e altri. E reiterò due settimane più tardi sulla “Gazzetta del
popolo” di Torino con un “Manifesto della cucina futurista”, all’insegna di
Feuerbach: “Noi affermiamo questa verità: si pensa, si sogna e si agisce in
funzione di ciò che si beve e di ciò che si mangia”.
Una presa di posizione “rivoluzionaria”, commenta Giovanni Lista
nelle sue due grandi raccolte in francese, “Qu’est-ce que le futurisme?” e “Le
Futurisme. Textes et Manifeste”, in quanto successiva alla “battaglia del grano”
di Mussolini, con peana autografo incorniciato nei luoghi pubblici, “cuore della
casa italiana, profumo della tavola del lavoratore, gioia del focolare”.
Romanziere-intellettuale
– Negli Usa non se ne trovano, nota Camus nei “Taccuini”. In Europa,
invece, si può dire figura obbligatoria. Dai grandi russi a George Eliot, ai
francesi, fino a Proust, lo stesso Gide, Malraux, Camus naturalmente e Sartre, Mauriac,
e ora Huellebecq, e ai grandi tedeschi, Thomas Mann, Böll, Grass, Jünger. In
Italia si direbbe di no, malgrado il neo realismo – perfino Pasolini ne è più
esente che condizionato, pur essendo “intellettuale” di professione, quotidiano:
nelle rubriche giornalistiche e in poesia sì, al cinema e nei racconti se ne
esime.
Scuola di scrittura – Si sfogliano con sgomento i manuali di scrittura delle scuole di
scrittura, con exempla tutti di
nessun richiamo, forse per voler essere elementari. Al limite del balordo,
perfino insensato. Come un’alfabetizzazione di recupero, per adulti con
problemi.
L’efficacia delle scuole sarà che la retta assicura uno o più
lettori obbligati, gli insegnanti. E che gli stessi sono il relais tra le redazioni editoriali e le
redazioni giornalistiche – redattori e giornalisti partecipando all’agape delle
scuole, retributiva in status se non in soldi. La pubblicazione del primo
romanzo, e anche di un secondo, è così assicurata e dovutamente segnalata. Per
cinque-diecimila euro di spesa – per il master naturalmente: c’è scuola senza
master
Selfie – Si cita Virginia Woolf per la distinzione che ritiene
necessaria tra arte e confessione. Ma questa intendeva come esibizione di sé.
Mentre proprio lei è oggetto di molti studi tra le righe, come se fosse una
dissimulatrice, magari non di proposito Ne fa la curiosa summa Cesare Catà, “Le pagine, le ore, le
falene. Dissimulazione e confessione del Sé nei diari e nei romanzi di Virginia
Woolf”, in “Lo Sguardo –
rivista di filosofia”.
letterautore@antiit.eu
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