Philip K. Dick – È l’autore che più ha ispirato Hollywood, e più di tutto
i blockbuster, i film campioni d’incassi e di culto. Film peraltro d’autore, che
i registi rimontano, specie “Blade Runner”, il primo, di Ridley Scott. Altri
titoli derivati dai suoi racconti sono “Tre Truman Show”, “Matrix”, Total
Recall”, “Minority Report”. Uno scrittore che pur avendo vissuto tra San Francisco
e Los Angeles, non aveva curiosità per il cinema.
Femminicidio – Nella forma più classica, se non diffusa, era il vuoto attorno
all’amata. Sempre a opera del marito\amante
geloso. L’annientamento non dell’amata ma di tutto quello che poteva turbarne i
sentimenti. Michel Bussi, il giallista francese, ne fa il romanzone in “Ninfee
nere” – qui il vuoto che il marito geloso crea è fisico, chi lo turba è
eliminato fisicamente
Libro –
Possederlo più che leggerlo è vecchia prassi, oltre che mania di bibliofilo.
Walter Benjamin ricorda, “Disfo la mia biblioteca. Discorso sul collezionismo”,
Anatole France, che al “borghesuccio” che si meravigliava dei suoi tanti libri e
gli chiedeva: “Ma li avete letti tutti, signor France?”, rispondeva: “Neppure un decimo. O forse lei
mangia quotidianamente col suo Sèvres?”
Thomas Mann – Sulla nave olandese che lo porta in America, in esilio
dal “fratello Hitler”, nel 1938,ai primi rumori di guerra, riflette sul tempo,
racconta la biografa Britta Böhler. Mentre sposta le lancette, mano a mano che
la nave va a Occidente. “Ha convenuto che non sono necessarie grandi teorie
scientifiche”, sintetizza l’argomento Giorgio Montefoschi, al momento in cui
Thomas Mann va a incontrare Einstein, “per scoprire che la durata del tempo è
relativa e dipende sopratutto dall’intensità della vita”.
Altra
intensità aveva lo scrittore nella guerra contro l’Italia, per esempio, e contro
la Francia – contro l’Italia, che aveva frequentato, in special modo. Non si
poneva problemi. La latinità, contro cui imprecava, lo aveva irrobustito? La
germanicità, da cui temeva di allontanarsi, lo indeboliva: parlare
con Einstein del tempo invece che di Hitler…
Aveva
bisogno di odiare? Ne aveva bisogno anche in famiglia, con la moglie o i parenti
della moglie, se non con i figli, che tutti se ne sono allontanati. Con l’ebraismo
della famiglia della moglie – “L’eletto”, “Sangue velsungo”.
Medio Evo
– È il passato che non passa? Ignoto, inalterabile. Ma ricorrente, come una
riserva di caccia. Ora in forma di fantasy. Nel primo Ottocento con Walter Scott,
Manzoni, Hugo, in chiave romantica, ma con pretese storiche. Nel Novecento in
chiave esoterica – Graal, Sion, etc.
Proust –
È praticante dell’opera aperta. Benché protagonista, se non teorico, dell’opera
conchiusa, il Grande Progetto, la Grande Opera. La “Ricerca” si è srotolata con
grandi lenzuolate di bozze, di cui non rivedeva mai l’ortografia, la
punteggiatura, la corrispondenza all’originale, mentre ne riempiva copiosamente
i margini, di aggiunte e divagazioni. Non si rileggeva a stampa, a opera
definita, ma sì in bozze. E alla rilettura riscriveva, moltiplicava.
“Un
lavoro di Penelope dell’oblio”, dice la sua scrittura e la sua ricerca Walter
Benjamin, che in qualità di esperto francesista e coordinatore della traduzione
della “Ricerca” in tedesco, ne indagava gli orditi. Un fare e disfare che
sembra bizzarro per lo scrittore del ricordo, che si esaltava alla rimembranza.
Ma Penelope c’entra come tessitura instancabile: “Se i romani hanno chiamato il
testo «tessuto», niente lo è più e niente è più serrato di quello di Marcel
Proust”, continua Proust. Per l’esercizio ma anche per la materia stessa del ricordo: “L’unità
del testo non è che l’atto puro della rimemorazione stessa”.
Senonché: perché Benjamin ne fa una sorta di “scrittura automatica”? Se la cosa nasce con
la sua forma, una sola, da ricordare, riscoprire.
Romanzo
– A cinquant’anni dalla morte è in gran voga. Anzi, tutto è da qualche tempo romanzo:
i ricordi d’infanzia, i saggi letterari, quelli filosofici, perfino quelli
scientifici, l’arte, la politica naturalmente, l’economia, specie quella
finanziaria, avventurosa, banditesca, ma anche il management, abbottonato, e la
vita stessa.
Le morti
del romanzo sono state molteplici. Dal Futurismo alle Avanguardie europee del
dopoguerra, il Gruppo 47 in Germania, la Scuola dello sguardo in Francia, in
Italia il tardo Gruppo 63, animati peraltro da scrittori di romanzi, Grass,
Eco, Robbe-Grillet etc. Se ne profetava e anzi preconizzava la morte come un
esercizio di scrittura. Ci fu anche – c’è tuttora – la voga dei romanzi di
romanzi.
Sci-Fi –
Sembra finita – dimenticata, trascurata – nel momento in cui trionfa. L’idea
che l’immaginazione della realtà si
sovrapponga alla realtà stessa, e la obliteri, sembra proprio avverarsi nel
virtuale, che ogni trip rende possibile. Nel mentre che la fantascienza come
genere decade. Un caso della realtà che supera l’immaginazione.
letterautore@antiit.eu
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