Fate la guerra, per amore dei sunniti.
Sembrerebbe una richiesta dell’Arabia Saudita, o di un altro dei potentati della
penisola arabica, ma è la richiesta di Robert Ford, ex ambasciatore americano a
Damasco. Dimessosi due anni fa per protesta contro Obama, e da allora
consulente di non si sa bene quali interessi, Ford difende la posizione saudita
sulla Siria, senza mai dirlo, in un’intervista al “New Yorker”.
L’intervista si collega all’“ammutinamento” di
una cinquantina di diplomatici americani, con una lettera di critica al governo
pubblicata dal “New York Times”: gli Stati Uniti devono fare la guerra in
Siria. Non una posizione diplomatica, dopo le troppe guerre avventurose in cui gli
Usa hanno impaludato l’Occidente da quindici anni, specie in Afganistan e in
Irak, il terremotaggio dei bonapartismi arabi laici o poco rispondenti alla
crociata islamica reazionaria, e la “creazione” del radicalismo islamico con distinta funzione anti-occidentale.
E dunque?
Ford ripete che Obama “sbaglia” in Siria, solo
trascurando di dire che sostiene la posizione saudita: “Il messaggio dice
chiaro che concentrarsi sull’Is non vincerà cuori e menti di abbastanza arabi
sunniti siriani per fornire una soluzione sostenibile, a lungo termine, alla
sfida dell’Is in Siria”. In chiaro: o Obama fa la guerra in appoggio ai sunniti
siriani, ai sunniti arabi, oppure l’Is continuerà a fare sfracelli. Continua
l’ex ambasciatore: “La comunità araba sunnita siriana vede il governo Assad
come un problema più grave che l’Is”.
Senza vergogna Ford argomenta con la
propaganda di guerra: “Il governo siriano ha ucciso sette volte più civili
dell’Is”, etc.. E con una minaccia: “Il rischio è che, proprio come il Centro
palestinese è crollato, così collasserà il Centro moderato in Siria. Dobbiamo
avere la fiducia della comunità sunnita siriana araba per sconfiggere l’Is”.
Cioè: o la guerra coi sunniti, a favore dei sunniti, oppure l’Is.
Ford ripete “araba” per dire che non vuole di
mezzo i curdi.
Niente strategia e tattica, solo ufficio
stampa saudita.
Con qualche errore – se non è, levantinamente, una messa in guardia e un ricatto. L’ex ambasciatore si rifà costantemente a
Hillary Clinton: lei sì, quando era segretario di Stato – fino al 2012 - “aveva
capito” la situazione. Cioè alla destinataria di fondi colossali dell’Arabia
Saudita e del Qatar, via la Fondazione di famiglia, alla sua campagna
elettorale.
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