domenica 12 giugno 2016

Proust favolista, dello spirito

L’ennesimo esercizio sull’Autore Incommensurabile - malgrado il cattivo gusto: inzuppare il biscotto nel tè? Di tale autorevolezza che “molte persone parlavano di lui come di un uomo alto, quando in realtà arrivava appena al metro e sessantasette”.
Un ritratto di Proust non ha senso, non c’è nulla da dire in più, non in breve. White ci riesce da sornione professore di Letteratura invece che di narratore. Specie su una serie di idiosincrasie. Verso l’omosessualità, che praticava. Molto antiebraico, benché dreyfusardo. Contro gli amati genitori. Petulante in amore, insistente, da quand’era bambino – finendo per alienarsi tutti gli amati. Incostante, peraltro, capriccioso. Intellettuale più che romanziere. Molto indebitato con Ruskin, che ora si trascura.  Poco o nulla curioso, benché socievolissimo, delle vite e opere altrui. Socievole per essere al centro dell’attenzione, uno che rideva alle sue barzellette. Da ultimo forse patologicamente egomaniaco, con le continue serate che pagava al Ritz e le mance stratosferiche.
White ne propone anche una diversa lettura. Non più sociale o storica ma favolistica, allontanandosi la figura dell’autore e le sue storie nel tempo. “Viene letto più come uno scrittore di favole che come un cronista, come un creatore di miti”, afferma, forse sulla base della sua esperienza d’insegnante.  E questo ritiene che gli giovi: “Proust emerge come il supremo compositore dello spirito”.
Edmund White, Ritratto di Marcel Proust, Lindau, remainders, pp. 159 € 9

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