L’ennesimo
esercizio sull’Autore Incommensurabile - malgrado il cattivo gusto: inzuppare
il biscotto nel tè? Di tale autorevolezza che “molte persone parlavano di lui come
di un uomo alto, quando in realtà arrivava appena al metro e sessantasette”.
Un ritratto di
Proust non ha senso, non c’è nulla da dire in più, non in breve. White ci
riesce da sornione professore di Letteratura invece che di narratore. Specie su
una serie di idiosincrasie. Verso l’omosessualità, che praticava. Molto
antiebraico, benché dreyfusardo. Contro gli amati genitori. Petulante in amore,
insistente, da quand’era bambino – finendo per alienarsi tutti gli amati.
Incostante, peraltro, capriccioso. Intellettuale più che romanziere. Molto
indebitato con Ruskin, che ora si trascura. Poco o nulla curioso, benché socievolissimo,
delle vite e opere altrui. Socievole per essere al centro dell’attenzione, uno
che rideva alle sue barzellette. Da ultimo forse patologicamente egomaniaco,
con le continue serate che pagava al Ritz e le mance stratosferiche.
White ne propone
anche una diversa lettura. Non più sociale o storica ma favolistica, allontanandosi
la figura dell’autore e le sue storie nel tempo. “Viene letto più come uno
scrittore di favole che come un cronista, come un creatore di miti”, afferma, forse
sulla base della sua esperienza d’insegnante. E questo ritiene che gli giovi: “Proust emerge
come il supremo compositore dello spirito”.
Edmund White, Ritratto di Marcel Proust, Lindau,
remainders, pp. 159 € 9
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